n 27

Lo stato infiammatorio può essere sia positivo sia negativo ed è una componente essenziale della sorveglianza immunitaria dell’ospite. È una risposta locale a lesioni cellulari, caratterizzata da un aumento del flusso sanguigno, da dilatazione capillare, da infiltrazione di leucociti e produzione di una serie di fattori che servono a iniziare l’eliminazione di agenti tossici e la riparazione dei tessuti danneggiati, cioè i mediatori chimici. Nelle reazioni sono implicate interazioni fra questi ultimi e molti tipi di cellule, come la secrezione di citochine antiflogistiche, l’inibizione di segnalazione pro-infiammatoria e l’attivazione cellulare regolatoria. Una condizione cronica di bassa qualità è una proprietà patologica presente nella sindrome metabolica (MetS), nella steatosi epatica non alcolica (NAFLD), nel diabete mellito di tipo 2 (T2DM), nella malattia cardiovascolare (CVD) e nell’obesità. In questo caso si osserva un incremento dei livelli ematici di indicatori sistemici di flogosi, quali conteggio leucocitario (macrofagi) e concentrazioni plasmatiche di proteine della fase acuta, di citochine pro-infiammatorie, di chemochine, di molecole di adesione solubili e di mediatori protrombotici. La flogosi dei tessuti e dell’organismo induce segnali interni che favoriscono un rallentamento metabolico, ovvero un potenziale ingrassamento. Un collegamento diretto tra obesità e infiammazione (insulino-resistenza e aterosclerosi) è dimostrato da come il tessuto adiposo bianco sintetizza e rilascia citochina pro-infiammatoria TNF, la cui presenza è alta negli adipociti di topi obesi in insulino-resistenza, nei quali la sensibilità dell’insulina è migliorata dopo la somministrazione di anticorpi anti-TNF-α. Alcune adipochine sono prodotte all’interno del tessuto grasso dagli adipociti (leptina, adiponectina, amiloide sierica A-SAA), mentre le altre sono prodotte da macrofagi che si accumulano nel tessuto adiposo. Le concentrazioni sistemiche di mediatori pro-infiammatori sono più alte negli obesi (BMI > 30 kg/m2) rispetto a persone di peso normale. Gli acidi grassi derivanti dalle membrane e i loro derivati possono influenzare la flogosi servendo come modulatori di percorsi trascrizionali o come precursori di prodotti di ossidazione quali eicosanoidi e docosanoidi, generati tramite l’azione di epossigenasi, lipossigenasi e ciclo ossigenasi. La supplementazione di grassi a catena lunga (EPA e DHA reperibile nel pesce) aumenta la secrezione di eicosanoidi antiflogistici e attenua l’espressione dei geni infiammatori nel tessuto adiposo sottocutaneo di pazienti diabetici gravemente in sovrappeso. La scelta del tipo di carboidrato determina il valore della glicemia postprandiale (e la relativa insulinemia e lipidemia) e rappresenta un valido predittore nell’eziologia di malattie metaboliche croniche come il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) e della CVD, un effetto che può essere mediato attraverso lo stress ossidativo e la flogosi. Inoltre i carboidrati ad alto indice glicemico (pane, pasta e dolci da farine raffinate) incrementano l’attivazione di NF-B e la sua associazione ai monociti presenti in sede di infiammazione. Bisogna preferire: riso integrale, grano saraceno, teff, grani antichi, quinoa, amaranto o orzo, associati a verdure e legumi. I flavonoidi riducono la flogosi perché modulano le cascate intracellulari che controllano la sopravvivenza neuronale, la morte e la differenziazione delle cellule, l’impatto sull’espressione genica e l’interazione con i mitocondri. Il Dietary Inflammatory Index (DII) è una nuova unità di misura che discrimina cibi e nutrienti in base alle loro caratteristiche pro o anti-infiammazione. Si consiglia di eliminare: carboidrati raffinati (pane bianco), dolci di pasticceria, prodotti preconfezionati (merendine, pane in cassetta a lunga conservazione), alimenti fritti (patatine) o alla brace, bevande zuccherate o dolcificate, carne rossa (hamburger, bistecche) e lavorata (insaccati, hot dog, salsiccia, bacon), margarine con grassi idrogenati e animali. Aiutano a ridurre la condizione: verdure a foglia verde (spinaci, crucifere come cavolo nero, broccoli, verze, rucola, ravanelli, cavolo cappuccio, sedano rapa, cavolfiore e broccolo), acidi grassi vegetali (olio extravergine di oliva, di borragine, lino, enotera, perilla, semi oleosi come noci, semi di lino, mandorle e nocciole 30 g/die) e animali (acciughe, sarde e sardine), pomodori, frutta (fragole, mirtilli, more, ciliegie, arance, mele, melograno, lampone e avocado), tè, curcuma, aglio, isoflavoni (soia) e polifenoli (vino, frutta e verdura colorate, frutta in guscio, cereali integrali, caffè, tè e olio). La resistenza insulinica rappresenta uno dei fattori maggiori dell’ipertensione, che generalmente colpisce gli obesi. Essa è peggiorata dall’alterato metabolismo glucidico e lipidico del tessuto adiposo, legata alla presenza di flogosi degli adipociti, mediata da adipochine pro-infiammatorie. L’assunzione di maggiori quantità di acidi grassi contenenti omega-3 modifica favorevolmente il catabolismo lipidico e la soppressione della lipogenesi, migliorando anche la risposta insulinica. L’EPA e il DHA producono una serie di sostanze, quali resolvine e protectine, dall’azione antiinfiammatoria (anche in patologie gravi quali l’artrite reumatoide). Importanti per lo stesso scopo sono i flavonoidi (isoflavoni e flavanoni). I residui della decomposizione batterica della caseina producono muco spesso e filamentoso che si attacca alle mucose: ostruisce i condotti, altera l’assorbimento, aumenta la permeabilità intestinale (tipica delle malattie autoimmuni come artrite, Sjogren, spondilite anchilosante, Morbo di Crohn, sclerosi multipla) e quindi permette a batteri, virus e tossine di raggiungere il circolo ematico. Il consumo di latte e derivati può portare ad alterare la funzionalità dei villi dell’alvo, favorendo situazioni di malassorbimento che si manifestano con anemia, perdita di peso e proteine (a livello gastrointestinale) e deficienza della crescita. Il latte (come tutte le proteine di origine animale comprese la carne e le uova) tende a rendere il sangue più acido e quindi stimola il rilascio di sali di calcio dalle ossa per tamponare la situazione. È bene assumere il calcio da sesamo, mandorle e semi oleaginosi, cavoli, broccoli, legumi, cerali integrali e pesce. Anche i food sensitivities, causa della flogosi da cibo (ovvero intolleranze o ipersensibilità alimentari) sono in grado di indurre patologia. Quest’ultima comunica all’ipotalamo, attraverso le citochine (resistina), che il ritmo vitale dev’essere rallentato, accumulando più grasso e rallentando l’attività tiroidea. La resistenza insulinica indotta genera poi secrezione di visfatina (un potente proinfiammatorio) da parte degli adipociti, generando un circolo vizioso. La flogosi cronica diffusa è causata dall’assunzione continuativa di cibi uguali o presentanti gli stessi allergeni e rappresenta un segnale di disturbo del sistema di difesa che, da un lato può bloccare il processo di dimagrimento alterando i normali flussi della leptina, dall’altro supportare diverse patologie che vanno dal diabete al cancro, alla demenza senile e a tutte le malattie autoimmuni.

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apparato emuntorio
Infiammazione cronica, low-grade inflammation, infiammazione cronica di bassa
Intensità, Low grade chronic inflammation, LGCI, sindrome metabolica (MetS), la malattia epatica non alcolica (NAFLD), il diabete mellito di tipo 2 (T2DM), malattia cardiovascolare (CVD), malattie infiammatorie (artriti, gastriti, asma, aterosclerosi, obesità), infiammazione cronica (LGCI)
.

curcuma

Numerosi studi ne hanno poi validato anche le proprietà coleretica, colagoga, antiflogistica e antiossidante per citarne le principali. L’epcidina, secreta dagli epatociti, ha un ruolo importante nel metabolismo del ferro, modulando il suo rilascio a livello plasmatico. In corso di infiammazione viene stimolata la produzione di IL-6 che agisce sugli epatociti che producono epcidina che, a sua volta, ha azione inibente sulla ferroportina (a cui si lega) e quindi sul trasporto del ferro a livello ematico con sideropenia. Questa situazione e conosciuta come anemia infiammatoria, o anemia delle malattie infiammatorie croniche. L’attivita dell’epcidina durante l’infiammazione e regolata dalla proteina trasduttrice del segnale e attivatore della trascrizione 3 (STAT3). Sperimentazioni in vitro hanno dimostrato che la curcumina puo diminuire la sintesi dell’epcidina diminuendo l’attivita STAT3. Gli autori della sperimentazione ritengono che lo studio abbia dimostrato che la curcuma diminuisce i livelli di epcidina sierica e supporta l’idea che la curcuma possa essere utile nel trattamento dell’eccessiva produzione di epcidina durante i processi infiammatori. I risultati giustificano la realizzazione di studi di conferma in pazienti con infiammazione cronica, anche allo scopo di individuare il dosaggio, il profilo di attività e lo schema terapeutico più adatto. Nella Sindrome dell’intestino irritabile le proprietà che si sono rivelate efficaci sono quella spasmolitica, antibatterica e antinfiammatoria che hanno permesso di ottenere un miglioramento del punteggio del dolore e disagio addominale prima e dopo il trattamento di 8 settimane.

escolzia

noto per
le sue proprietà ansiolitiche, sedative e ipnotiche. In una review sulle piante
nervine Kathy Abascal e Eric Yarnell, dell’Accademia
di Medicina Botanica della Bastyr University di
Washington, ne evidenziano oltre al blando al potere
analgesico, quello di “ansiolitico che porta leggerezza
al cuore” riportando, oltre agli studi scientifici,
un utilizzo anedottico anche per la gestione
della paura di volare o di parlare
in pubblico. Gli autori concludono
che la pianta ha un effetto ansiolitico
a basso dosaggio e sedativo ad
alto dosaggio (Abascal, 2004). Gli
studi di laboratorio degli anni Novanta
di Rolland hanno dimostrato
che la somministrazione dell’estratto
acquoso di Eschscholtzia californica
nei topi ha un effetto ansiolitico e
sul comportamento relazionale-ambientale
(Rolland,1995).
Lo studio più citato sull’escolzia,
uno dei pochi reperibili in letteratura scientifica, è
stato completato nel 2004 a Parigi dall’equipe di Hanus. Si tratta di uno studio clinico randomizzato
in doppio cieco che ha confrontato l’effetto
della somministrazione del placebo con quello di un
preparato a base di escolzia , biancospino e magnesio . Vi hanno partecipato 264
pazienti di entrambi i sessi con disturbo
d’ansia generalizzato di grado lieve o
moderato secondo i criteri diagnostici
del DSM, il manuale diagnostico
dei disturbi mentali.
Dopo 3 mesi si è rilevato un miglioramento statisticamente
significativo dei parametri dell’ansia e dei
sintomi somatici.
Gli autori conclusero che tale preparazione poteva
essere utile nella gestione dei disturbi d’ansia lievi e
moderati (Hanus, 2004). Un altro studio open-label
recente ha indagato l’efficacia di un’associazione di
valeriana ed escolzia in 22 pazienti selezionati con
ansia e disturbo del sonno. A distanza di 1 mese sono
stati confrontati i risultati dei test sull’ansia (Hamilton
Anxiety Scale) e sulla qualità del sonno (ISI).
Lo studio ha rilevato nei pazienti un miglioramento
importante della durata e dell’efficacia del sonno,
meno incisivo l’effetto sul numero di risvegli notturni.
L’ansia nei pazienti è diminuita di oltre il 50%.
Concludono gli autori che l’associazione di valeriana
ed escolzia può essere un buon sostegno per la gestione
dell’insonnia (Abdellah, 2019).

angelica

In un modello in vitro l’olio essenziale esibisce anche
proprietà antinfiammatorie; i risultati di un recente
studio mostrano che questo ha indotto in maniera
significativa apoptosi e necrosi ad alte dosi. A
dosi non tossiche sono state rilevate proprietà antinfiammatorie
conseguentemente alla riduzione di citochine proinfiammatorie come l’IL-6.
Il pool di sostanze presenti esibisce anche altri effetti
curativi; in un articolo pubblicato su una rivista di settore
è stato valutato il fitocomplesso estratto dai frutti
nei disturbi d’ansia, con particolare attenzione ai derivati
cumarinici apolari come imperatorina e isoimperatorina.
 Sono doverose ulteriori
indagini farmacologiche dettagliate al fine di identificare

boswellia

fa parte della
Farmacopea indiana e cinese e viene consigliata per curare
processi infiammatori a carico dell’apparato muscoloscheletrico,
delle vie respiratorie, affezioni cutanee ecc..
Manifesta, infatti, azione antiflogistica a carico dell’apparato
muscolo-scheletrico e delle vie respiratorie (proprietà
broncodilatatrici). I composti principali della gommoresina
di incenso sono gli acidi alfa- e
beta-boswellici e un olio essenziale
(16%) caratterizzato da alfa-thujene
e p-cimene. Gli acidi boswellici
(e in particolare l’acido acetil-11-cheto-
beta-boswellico (AKBA)) sono degli
inibitori della 5-LOX per via enzimatica
diretta, con meccanismo non
competitivo attraverso il legame con
un sito effettore per triterpeni pentaciclici.
Gli acidi boswellici potrebbero
avere altri effetti di modificazione
della patologia, come la riduzione
della degradazione dei glicosaminoglucani
o l’inibizione dei mediatori
dei meccanismi autoimmuni. Vi sono
due studi clinici di buona qualità che
hanno testato in
caso di osteoartrite. Nel primo studio è risultato efficace nel
ridurre il dolore (dal 32% al 65%) e
nel migliorare la funzionalità articolare.
I primi effetti sono stati osservati
dopo una settimana (Sengupta et al. 2008; Sengupta et al. 2010). Nel
secondo studio è stato efficace nel ridurre il dolore
(47%) e nel migliorare la funzionalità
in caso. Una review degli studi
clinici tedeschi fi no al 1996 suggeriva
che fosse utile per
pazienti sofferenti di artrite reumatoide,
riducendo in maniera significativa gonfi ore e dolore alle articolazioni,
la rigidità articolare mattutina
e l’utilizzo di FANS da parte dei pazienti,
con generale aumento del senso
di benessere.
Sembra che le proprietà antiflogistiche
della pianta (gli acidi boswellici, presenti nel fitocomplesso,
agirebbero su citochine e leucotrieni) siano utili per
trattare non solo i dolori artrosici ma anche patologie autoimmuni
come l’artrite reumatoide, la malattia di Crohn e
la colite ulcerosa.
si è dimostrato
significativamente più efficace del placebo nel ridurre il
dolore, migliorare la mobilità del ginocchio e nell’aumentare
la distanza di marcia. Recenti studi hanno segnalato
che sono presenti monoterpeni,
diterpeni, triterpeni, acidi triterpenici tetraciclici
e quattro principali acidi triterpenici pentaciclici,
che manifestano maggiore potere inibitorio nei confronti
della 5-lipossigenasi, un enzima responsabile dell’infiammazione.
Viene segnalata, oltre alle proprietà antidolorifiche
e antinfiammatorie, un’azione epatoprotettiva

tanaceto

è tradizionalmente usato per
emicranie e dolori artritici, per il suo effetto antinfiammatorio e antiemicranico, effetto
legato alla presenza di lattoni sesquiterpenici, tra i quali i partenolidi.I meccanismi d’azione dell’estratto potrebbero comprendere: inibizione della contrazione della muscolatura liscia; interruzione della catena di eventi che porta all’emicrania: inibizione dell’aggregazione piastrinica, rilascio di istamina e di 5-HT dalle piastrine, inibizione della COX-2, riduzione della sintesi di TNF-alfa, IL-1, leucotrieni e prostaglandine; interferenza con la fosfotomatico e con la 5-LOX. Il crisantenil acetato inibisce la sintasi prostaglandinica in vitro e sembra possedere proprietà analgesiche

spirea

grazie ai
composti salicilici presenti nel fitocomplesso, per alleviare
i dolori reumatici in virtù delle proprietà anti-infiammatorie,
antispasmodiche e antalgiche.

cumino nero

Una meta-analisi suggerisce che l’integrazione di semi
e olio di cumino nero possa ridurre significativamente il livello
di proteina C reattiva (CRP – un marcatore di infiammazione)
nel sangue. Tuttavia i dati clinici sono per il
momento ancora preliminari (Tavakoly et al. 2019).
I meccanismi proposti per l’azione antinfiammatoria
dei SNS sono vari e tutti basati sul TC (Shaterzadeh-
Yazdi et al. 2018):
• inibizione della sintesi di 5-LOX, COX, PGD2 e LT
• riduzione delle citochine pro-infiammatorie indotte
da LPS come interleuchine (IL) e TNF-α
• riduzione dello stress ossidativo
• aumento di chemiocinesi, chemiotassi, attività fagocitica,
livelli di anticorpi ed emoagglutinazione delle
immunoglobuline.

tè verde

ricco in polifenoli, che si
compongono di 6 tipi di catechine e dei loro derivati
(gallati), di cui l’EGCG (EpiGalloCatechinGallato),
quantitativamente il più importante, è anche considerato
l’ingrediente più attivo per le potenti proprietà
anti-ossidanti e non meno del 2% di caffeina. L’EGCG è una catechina, cioè un componente polifenolico, abbondantemente
presente nel tè verde. che svolgerebbe, oltre a una azione sul peso corporeo, anche attività antiossidante, riduzione della insulino-resistenza, capacità ipolipemizzante e addirittura anche proprietà antineoplastiche. L’EGCG è anche in grado di aumentare la termogenesi e di indurre sazietà. Sono poi stati documentati effetti sulla insulinoresistenza, una protezione contro l’ossidazione, soprattutto delle LDL, e un maggiore rilascio di monossido d’azoto (NO) da parte dell’endotelio. In altri termini, l’EGCG avrebbe azioni positive un po’ su tutta la sindrome metabolica, a cominciare dalla riduzione del peso corporeo.

frassino

Tra i costituenti sono presenti secoiridoidi, feniletanoidi,
lignani, tannini, monoterpeni, flavonoidi e
cumarine. I metaboliti
posseggono diverse attività biologiche: antitumorali,
antinfiammatori, antiossidanti, antimicrobici, epatoprotettivi,
antiallergici, rigeneranti della pelle, diuretici.
Esculetina, esculina, frassinite, fraxetina e fraxina
sono alcuni dei componenti farmacologicamente
attivi isolati da diverse specie di piante di Fraxinus. Il suo potenziale antinfiammatorio si esplica al meglio
in condizioni artritiche e reumatiche. La ricerca si focalizza sulle proprietà
antinfiammatorie che, come sostengono molti
studi, sono simili a quelle dei FANS. In effetti, un articolo importante compara il frassino con
il diclofenac e i risultati appaiono simili. L’esculetina è stata ampiamente utilizzata nella fitoterapia
cinese per le sue varie attività farmacologiche:
antiossidanti, antitumorali, antibatteriche e antinfiammatorie.

malva

effetti antimicrobici,
antiossidanti, antidiabetici, antiasmatici, antinfiammatori
e cicatrizzanti.
Proprietà anti-complemento, sopprimono il rilascio dei mediatori
pro-infiammatori PGE2 e PGD2 e posseggono spiccate
proprietà antinfiammatorie, mostra
anche proprietà antiossidanti e può distruggere
l’H2O2 grazie alla sua attività catalasica. Riduzione dei livelli di perossidazione lipidica e le attività
di superossido dismutasi, CAT e glutatione perossidasi
renali in ratti avvelenati con vanadio.
Gli effetti della malva sull’infiammazione sono stati
approfonditi con importanti studi da Bruna Benso, ricercatrice
presso l’Università statale di Campinas e la
School of Dentistry di Piracicaba in Brasile. La malva
può trattare e prevenire l’infiammazione grazie al controllo
della produzione di eicosanoidi, tra cui mediatori
dell’infiammazione come prostaglandine, citochine
(IL-1β IL-6, IL-8) e il fattore stimolante le colonie
di granulociti-macrofagi GM-CSF. Sembrerebbe che
la malvidina 3-glucoside, la scopoletina e la quercetina
siano collegate a tale attività biologica. La frazione
acquosa , conclude uno degli studi di Benso, è antinfiammatoria e possiede spiccate capacità
antiossidanti analizzate con diversi metodi in
vitro e in vivo. Inoltre, data la sua attività multi-target,
la frazione bioattiva può essere un buon candidato
nella terapia delle malattie infiammatorie croniche.
I meccanismi coinvolti nell’inibizione della migrazione
dei neutrofili al sito danneggiato sono accompagnati
dalla riduzione dei marker infiammatori e dello
stress ossidativo. La frazione acquosa ha promosso
una significativa riduzione dell’IL-1β che è coinvolta
nel rilascio di prostanoidi. Il rilascio di citochine
pro-infiammatorie è correlato al processo di migrazione
e stimola l’adesione dei neutrofili nell’endotelio
vascolare e la trasmigrazione al sito infiammatorio.

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