Connubio tra scienza e natura Ispirati dalla Natura, potenziati dalla ricerca
Quando la tiroide è lenta è logico riequilibrare (e non sopprimere o sostituire) la sua attività con modifiche dello stile di vita in grado di stimolare una risposta della ghiandola dall’interno, piuttosto che con un farmaco esterno. La tiroide è regolata dall’asse ipotalamo-ipofisario: l’ipotalamo, tramite la produzione di un ormone (TRH), stimola l’ipofisi alla produzione di un ormone di rilascio (TSH) che sollecita l’organo tiroideo a sintetizzare T3 e T4. Esiste un sistema di controllo a feedback negativo secondo cui se le concentrazioni di questi ultimi salgono, il TRH è bloccato e frena la loro metabolizzazione fino a che i livelli non torneranno a quelli prestabiliti. La tiroide non partecipa solo al controllo del metabolismo, ma anche allo sviluppo dello scheletro e del cervello e al mantenimento delle attività cognitive, della pelle, degli annessi cutanei e degli organi genitali. Gli ormoni emessi dalla tiroide sono la Tiroxina (T4), la Triiodotironina (T3) e la 3,3′,5′- Triiodotironina (rT3 non attivo). Per la loro sintesi sono necessari l’aminoacido tirosina, metabolizzato dall’organismo a partire dalla fenilalanina (proteine come pesce e uova), e lo iodio che permette alla ghiandola tiroidea di completare la struttura chimica dei suoi ormoni (T4 e T3). Ogni giorno il fabbisogno è 190-200 mcg per un bambino, 150 mcg per gli adulti (uomini e donne), 175 mcg in gravidanza e 200 mcg durante l’allattamento (LARN 2014): quello immagazzinato finisce per il 95% nella tiroide. Lo iodio è presente nell’acqua del mare e perciò è consigliabile il consumo di pesce fresco (merluzzo, branzino, sgombri e alici), crostacei, molluschi ma anche di superfood marino usato specialmente nei paesi orientali: alghe, fonti preziose di vitamine (A, C, D, E, H, K e gruppo B) e di proteine (attentamente dosate nel caso di donne più predisposte a sviluppare il carcinoma papillare). I cibi che invece interferiscono sono: spinaci e lattuga, miglio e tapioca a causa di elementi quali tiocianati, isotiocianati e goitrine. È opportuno minimizzare l’intake di glutine perché stressa la tiroide al punto da scatenare un suo malfunzionamento che si manifesta in forme di ipotiroidismo conclamato in pazienti celiaci. La L-carnitina (carni rosse, latticini e integratori per sportivi) è in grado di ridurre la capacità da parte dell’ormone tiroideo di penetrare all’interno delle cellule bersaglio. La carenza dello iodio è correlata allo sviluppo di ipotiroidismo e gozzo, ma la sua esagerata immissione può inibire il processo di organificazione della tiroide (in cui lo iodio elementare si lega ai residui di tirosina) e la sintesi di T3 e T4 (effetto di Wolff-Chaikoff). Bisogna valutare anche i livelli di selenio e ferro. Senza il primo l’organismo non potrebbe sintetizzare alcune seleno-proteine coinvolte nel metabolismo tiroideo, quali la glutatione perossidasi, la tireoperossidasi (per la sintesi di T3, T4 e di tireoglobulina) e la iodiotironina deiodinasi (necessaria al T3), sviluppare alcune patologie tiroidee e non garantirebbe la quota giornaliera raccomandata di 55 mcg, fino ad arrivare a 60-70 mcg al giorno nelle donne incinte o che allattano. Le fonti del selenio sono: noci brasiliane, arachidi, uova, grano, crusca, orzo, lievito di birra, fagioli, aglio, cipolla, funghi e semi di sesamo e di girasole. Data la correlazione tra anemia sideropenica e disfunzioni tiroidee, vanno corretti anche i livelli del ferro, così anche quelli di acido folico e di vitamina B12 (per mantenere la giusta sideremia), perché è un elemento presente nella perossidasi tiroidea (TPO, un enzima cardine per la sintesi degli ormoni della tiroide). Troviamo il ferro in ostriche, vongole, fegato, lenticchie, fagioli bianchi, rucola, spinaci, semi di zucca, alga spirulina, albicocche secche, pinoli, anacardi, pistacchi e cacao amaro (10 mg per l’uomo e 18 mg per la donna). La Vitamina D si è rivelata un segnale metabolico indicativo in persone affette dalla Tiroidite di Hashimoto rispetto a soggetti sani: bassi livelli sierici di 25-idrossivitamina D3 sono inversamente correlabili a quelli di AbTPO (anticorpi anti-perossidasi tiroidea) e AbTg (anticorpi anti-tireoglobulina) coinvolti nelle tiroiditi autoimmuni. È consigliabile un adeguato apporto di questa vitamina inserendo nella propria dieta pesci grassi (aringhe, sgombri, salmone, sardine e merluzzo) per il loro duplice beneficio: sono riserve di acidi grassi Omega 3 e antinfiammatori naturali (presenti nell’olio di semi, di lino, extravergine di oliva, di borragine e di enotera usati a crudo, noci e mandorle). L’effetto protettivo antiflogistico è ottimizzato dal consumo di alimenti ricchi di vitamine antiossidanti (C, E e A) la cui carenza riduce l’attività secretoria della tiroide: prezzemolo, salvia e rosmarino secchi, basilico, radicchio verde, zucca gialla, peperoni, pomodori, agrumi, kiwi, mango, germe di grano, nocciole e pinoli, spezie come lo zenzero e la curcuma. Gli interferenti endocrini sono composti chimici tipici delle plastiche presenti nelle confezioni di vari prodotti e hanno una struttura simile a quella degli ormoni, perciò il nostro organismo può scambiarli per tali al punto che possono accendere, spegnere o modificare il normale segnale ormonale squilibrandone il sistema fino a compromettere l’apparato riproduttivo e sessuale e le fasi di sviluppo e crescita dei bambini: i danni si verificano a livello di cervello, tiroide, surrene, ovaio, testicoli, sistema immunitario e metabolismo (ma comportano anche malattie cardiovascolari, diabete e pressione alta). Le crucifere (cavoli, cavolfiori, cavoletti di Bruxelles, broccoli, rafano, ravanelli) devono essere consumate in piccole quantità e ben cotte, in modo da neutralizzare le sostanze ad azione goitrogena, in particolare dalle persone predisposte all’ipotiroidismo. Tra gli antagonisti tiroidei ci sono alcuni minerali che contrastano l’assorbimento dello iodio. Il calcio: se si bevono acque “dure” o troppi latticini si può controbilanciare il suo esagerato apporto con cibi ricchi di acido fitico e acido ossalico, che possono ridurne la biodisponibilità (rabarbaro, barbabietole e cereali integrali). Il rame (fegato bovino, funghi secchi, ostriche e cacao amaro) promuove la sintesi degli estrogeni, ossia i principali antagonisti metabolici a livello tiroideo. Il fluoro (acque fluorurate, sode, bibite gassate, tè, succo d’uva e uva secca) entra in diretta competizione di legame con lo iodio nella metabolizzazione degli ormoni tiroidei. Il litio (alghe, caffè e cacao) è spesso usato in terapie farmacologiche antidepressive, antipsicotiche e nella cura delle cefalee a grappolo e inibisce la sintesi e il rilascio degli ormoni della tiroide, oltre a rallentare la conversione del T4 in T3. Il sale deve essere iodato: non superare i 4-5 g/die (1g/30 mcg di iodio) e va aggiunto al termine della cottura (a crudo) poiché il calore fa evaporare lo iodio. Per correggere la disfunzionalità tiroidea conclamata si ricorre a terapie farmacologiche che nei soggetti ipotiroidei compensano la carenza ormonale nella somministrazione quotidiana di levotiroxina (l’isomero levogiro della tiroxina). Quest’ultima per essere assorbita richiede un ambiente gastrico molto acido (va assunta a stomaco vuoto) affinché lo ione sodio della molecola iniziale venga rimosso e si generi l’ormone T4 in forma originale e biodisponibile, il quale è liposolubile e viene assimilato dall’intestino tenue. Sono da evitare: il latte che, da un lato neutralizza l’acidità e il pH acido dello stomaco, dall’altro è fonte di aminoacidi che ostacolano l’assorbimento dei farmaci, e il caffè che ne riduce l’assimilazione. Il primo segno di una tiroide pigra è l’innalzamento del TSH (thyroid stimulating hormone). Garber in uno studio pubblicato in «Endocrinological practice» (“Guidelines for hypothyroidism in adults”) spiega che è errato trattare questo aumento con una terapia sostitutiva ormonale perché si induce ipertiroidismo iatrogeno, insieme a insonnia, tachicardia, deperimento e agitazione. |
apparato emuntorio sistema nervoso (SNC) |
gozzo, noduli della tiroide, iperparatiroidismo primitivo, iperprolattinemia, disfunzioni tiroidee, ghiandola endocrina, processo di organificazione dello iodio, ipotiroidismo, tiroidite di hashimoto, disfunzionalità tiroidea, cretinismo, ipotiroidismo noduli, ipertiroidismo, tireotossicosi, aumento dell’attività cardiaca, malattia di basedow, morbo di graves (di origine autoimmune), adenoma, ipotiroidismo noduli, ipertiroidismo gozzo, sclerosi ghiandolari (lacrimale, salivare, parotidea,tiroidea, gonadica, pancreatica, splenica), orchite, parotite, tiroidite e pancreatite. |
guggul
proprietà farmacodinamiche sono quella antinfiammatoria, antireumatica e sembra stimolante l’attività tiroidea. Si ritiene che la componente maggiormente bioattiva sia il guggulsterone; l’azione ipolipemizzante è attribuita all’antagonismo del recettore X farnesoide. contiene vari principi attivi con attività ipolipemizzante e antinfiammatoria. L’azione ipocolesterolemizzante, ipolipidemizzante, seppur clinicamente riconosciuta da vari studi, sembra si caratterizzi per interferire sul metabolismo lipidico attraverso varie vie, tipici effetti del fitocomplesso delle piante: inibendo la biosintesi epatica del colesterolo, riducendo i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi e stimolando la captazione delle VLDL e LDL nel fegato, aumentando le escrezioni biliari del colesterolo e aumentando le HDL. A livello intestinale si ha riduzione di parte dei grassi assunti dall’alimentazione. Viene inoltre diminuita la viscosità del sangue, attività fibrinolitica antiaterosclerotica. Studi clinici randomizzati hanno, dopo 8 settimane di trattamento, evidenziato un abbassamento del colesterolo totale dal 10% fino al 27% e su tre studi uno ha dimostrato anche un aumento delle HDL. |
cumino
In uno studio clinico randomizzato controllato con placebo, su 40 pazienti sofferenti di tiroidite di Hashimoto, la supplementazione di SNS per 8 settimane ha portato a una riduzione del peso corporeo, del BMI, delle concentrazioni ematiche di TSH (ormone tireostimolante) e perossidasi anti-tiroidea, mentre è aumentata la concentrazione ematica di T3. Si è anche ridotta la concentrazione ematica di VEGF (fattore di crescita endoteliale vascolare). I dati suggeriscono un effetto positivo di SNS sullo status tiroideo in pazienti con tiroidite di Hashimoto (Farhangi et al. 2016). |
ashwaganda
adattogeno, antinfiammatorio e analgesico ha Effetto anabolico eritropoietico: aumenta il numero di eritrociti, riduce la leucopenia indotta da radiazioni gamma, aumenta la cellularità del midollo spinale, normalizza il rapporto tra eritrociti normocromatici e policromatici a seguito di irradiazione. Inoltre aumenta la concentrazione di emoglobina, la conta leucocitaria e piastrinica Le proprietà sono riconducibili ai componenti bioattivi quali i whitanolidi, alcaloidi e saponine che svolgono un’azione antinfiammatoria, antiossidante, antischemica, chemio-preventiva, neuro-protettiva e immuno-protettiva. La monografia OMS ne riconosce l’utilizzo per il miglioramento del tempo di risposta allo stress e come tonico nella prevenzione delle patologie negli atleti e negli anziani. è una pianta medicinale utilizzata tradizionalmente nell’ambito della medicina Ayurvedica che viene spesso prescritta per le disfunzioni della tiroide, può essere utile per normalizzare gli indici tiroidei in pazienti con ipotiroidismo subclinico. L’azione antinfiammatoria è stata ampiamente studiata in vivo e in vitro dove la somministrazione della radice fresca o secca ha riportato la diminuzione sierica delle proteine della fase acuta, della pre-albumina e dell’alfa- glicoproteina in uno studio e la diminuzione della flogosi del granuloma preindotto nel ratto in un’altra ricerca, con esito migliore alla somministrazione di idrocortisone. un’altra importante qualità della pianta: la protezione della mucosa gastrica dimostratasi efficace contro le lesioni ulcerative da utilizzo di FANS; così da renderla idonea come antinfiammatorio anche in soggetti gastropatici. Assieme alle potenzialità antinfiammatorie e analgesiche è interessante considerare le proprietà consolidate della pianta come adattogeno, tonico e ansiolitico che ne consigliano l’utilizzo in pazienti affetti da patologie dolorose o infiammatorie, ove la componente psicosomatica sia importante. |
coleus
per un effetto tonico e di sostegno al metabolismo e per favorire le normali funzioni tiroidee – si comporta come un potente attivatore di ciclasi in molti tessuti, tra cui la ghiandola tiroidea. Sperimentalmente ha provocato un aumento della secrezione ormonale di T3 e T4 da parte della ghiandola, più rapido rispetto alla stimolazione da TSH e ciò suggerisce una sua azione a livello recettoriale. La Forskolina, un diterpene labdanico in grado di stimolare l’Adenilato ciclasi, con un meccanismo del tutto analogo a quello innescato dall’Adrenalina o dall’Isoproterenolo. Il risultato è un aumento dei livelli di AMP ciclico, con conseguente incremento dell’attività lipolitica, attraverso l’attivazione della Proteina Chinasi A (PKA). Questo enzima oligomerico determina la fosforilazione della Perilipina, membrana proteica che avvolge le goccioline di grasso contenute negli adipociti. La Perilipina svolge un ruolo importante nella mobilizzazione dei lipidi: essa agisce come strato protettivo per impedire l’azione della lipasi, il particolare quella ormonosensibile (HSL). Una volta fosforilata la Perilipina consente alla HSL di accedere liberamente al suo substrato (i trigliceridi), provocando di fatto una stimolazione della lipolisi. In aggiunta, la Forskolina si comporta come un booster naturale della Termogenesi. |
vitamian D
Enzimi metabolizzatori della vitamina D e suoi recettori (VDR) sono presenti in molte cellule, comprese le cellule T, B, monociti e cellule presentanti l’antigene (APC). Questo spiega come la vitamina D interagisca con l’immunità naturale (innata) e acquisita. Il sistema immunitario innato, composto soprattutto da fagociti (monociti e macrofagi) e cellule NK, è la prima linea difensiva (aspecifica) dell’organismo. Un meccanismo classico di difesa, ad esempio da invasione di Mycobacterium tubercolosis, vede il riconoscimento dell’invasore tramite recettori toll-like che porta a una segnalazione per l’espressione di recettori per la vitamina D, che a loro volta inducono la produzione di varie difensine, quale la catelicidina e, grazie anche alla produzione di NF-kB tramite l’attivazione dell’IL-1, della difensina 2 (DEFB). La tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune causata da complesse interazioni tra fattori genetici e condizioni ambientali ancora non del tutto elucidateIn questa malattia, la reazione immunologica avviene quando i tirociti esprimono antigeni di superficie HLA-DR (MHC di classe II), un processo indotto dalla produzione, da parte dei linfociti T helper, di citochine infiammatorie (tra cui l’IFN-), che possono essere inibite dall’1,25-idrossivitaminaD2. Un polimorfismo genetico del recettore per la vitamina D (VDR), per la sua proteina legante (DBP), nonché dell’1alfa-idrossilasi (CYP1) potrebbe predisporre allo sviluppo di questa tiroidite. . Uno studio cross-sezionale che ha incluso anche persone che effettuavano un checkup di routine, ha arruolato 6685 soggetti (58% maschi, 42% femmine). Sono stati esaminati i livelli sierici di 25-idrossivitamina D3, anticorpi anti-tiroide perossidasi (TPO-Ab) e un’ultrasonorografia tiroidea. Nei soggetti femminili positivi al test TPO-Ab, i valori medi di 25 (OH)D3 sono stati significativamente più bassi rispetto al gruppo di controllo (p=0,030) e ancora di più nelle pazienti positive anche all’ultrasonorografia (p=0,001). Tali risultati sono stati ottenuti solo su donne in pre-menopausa e non in postmenopausa. La sclerosi multipla presenta denominatori comuni con la tiroidite di Hashimoto e altre malattie autoimmuni, tra cui le interazioni con la vitamina D. Questa, infatti, se presente a livelli adeguati, riduce l’espressione dell’MHC di classe II; induce la proliferazione delle cellule B, la secrezione di immunoglubuline E e M, la produzione di cellule della memoria, l’apoptosi nelle cellule B attivate, promuove le cellule T regolatorie, inibisce la produzione di citochine pro-infiammatorie. Nello specifico, sopprime lo sviluppo di malattie autoimmuni Th1 mediate. La complessa interazione tra stimoli attivatori diversi che evocano diverse espressioni del suo specifico recettore (VDR), e del suo polimorfismo genetico, rendono difficile una precisa valutazione dell’azione della vitamina D sulla sclerosi multipla tramite il VDR. Una recente review iraniana sembra confermare l’importanza di adeguati livelli di vitamina D nella donna in gravidanza o nel neonato ai suoi primissimi mesi di vita nel prevenire tale patologia. Sembra inoltre che i nati nei mesi autunnali-invernali abbiano più probabilità di sviluppare la sclerosi multipla, così come vivere in paesi a latitudini elevate, lontane dall’equatore e con minore esposizione solare. Lo studio conclude indicando come un’introduzione di 1000-4000 UI al giorno consenta di raggiungere livelli raccomandati maggiori di 99 nmol/L: tali livelli possono ridurre il rischio di sclerosi multipla fi no al 62%. Quanto conti l’aspetto genetico lo dimostra una meta analisi che confronta i principali polimorfi smi del gene VDR: Taq1, BSm1, Apa1 e Fok1 per un totale di 3300 pazienti e 3194 controlli; solo i genotipi AA Apal e FF Fokl dimostrano una significativa correlazione con il rischio di sviluppare la sclerosi. Altre malattie autoimmuni sembrano legate a deficit di vitamina D, quali il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. Uno studio prospettico di coorte ha arruolato più di 72mila donne (età 40-73 anni). Nel periodo di follow-up, sono stati documentati 122 casi di morbo di Crohn e 123 di colite ulcerosa. I livelli medi di vitamina D sono stati di 22,3 ng/mL nel quartile più basso e 32,2 nel quartile più alto. L’analisi multivariata mostra una correlazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e la riduzione del rischio di sviluppare tali patologie. Una correzione dei valori di vitamina D, anche a patologia conclamata, potrebbe essere utile per ridurre il rischio di ospedalizzazione e interventi chirurgici. Su 3217 pazienti monitorati, valori inferiori a 20 ng/mL risultano associati a un maggior rischio di intervento chirurgico. Pazienti con valori iniziali inferiori a 30 ng/mL, ma successivamente normalizzati tramite supplementazione, hanno mostrato una riduzione del rischio chirurgico comparati con pazienti che sono restati deficitari di vitamina D. Altre patologie autoimmuni su cui esistono studi e che sembrano correlate a carenze di vitamina D o a diminuita attività del VDR, sono il lupus eritematoso, il diabete di tipo 2, la sindrome di Sjögren e la spondilite anchilosante. Una review australiana prova a suggerire i livelli plasmatici minimi secondo la protezione necessaria: rachitismo (25 nmol/L), osteoporosi e fratture (50 nmol/L), depressione (75 nmol/L), diabete e malattie cardiovascolari (80 nmol/L), infezioni respiratorie (95 nmol/L) e cancro (100 nmol/L). Oltre non si raggiunge una protezione ulteriore. |
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