Connubio tra scienza e natura Ispirati dalla Natura, potenziati dalla ricerca
Uno dei principali segreti per la longevità è avere una dieta bilanciata, associata a un consumo regolare di proteine (vegetali) e cibi di origine vegetale (cereali integrali, frutta, verdure, legumi, semi oleaginosi e olio d’oliva), limitata nell’assunzione di grassi animali (burro, salumi) e regolata nel consumo di alcolici, sale e alimenti ad alto indice glicemico (dolci). Il mantenimento dell’efficienza fisica (contrastando la sarcopenia, l’osteoporosi, il rischio di cadute e il decadimento mentale) consiste nello svolgere allenamenti fisici aerobici (ginnastica, ballo, walking, jogging, ciclismo, nuoto) uniti a esercizi di resistenza, coordinamento, flessibilità ed equilibrio posturale. Uno dei fattori che contribuisce all’accelerazione del decadimento cerebrale è l’infiammazione sistemica cronica. Diverse evidenze hanno correlato l’infiammazione al deterioramento intellettivo e all’aumento del rischio di demenza: una serie di fattori che riguardano lo stile di vita (come il peso corporeo in eccesso e il comportamento sedentario) possono aggravare negli anziani uno stato pro-infiammatorio, con flogosi cronica di basso grado che funge da coattivazione e conservazione della neuro degenerazione. Il declino cognitivo lieve, in inglese Mild Cognitive Impairment (MCI), si riferisce a uno stato di transizione tra il normale invecchiamento e una leggera demenza e può essere diagnosticato clinicamente in presenza di alcuni sintomi che coinvolgono uno o più domini cognitivi, tra cui la difficoltà nell’area di memoria, attenzione e linguaggio (non tali da compromettere troppo le normali attività quotidiane). In diverse sperimentazioni (sia indagini di tipo conoscitivo sia tramite risonanza magnetica dell’ippocampo) è emerso che acidi grassi omega-3, curcuma, colina, uridina monofosfato, fosfolipidi, antiossidanti e vitamine del gruppo B sono capaci di rallentare in modo significativo l’atrofia ippocampale, di stabilizzare la memoria episodica, di preservare la normale funzionalità cerebrale cognitiva e di ridurre il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari. Tuttavia è fondamentale ricordare che la supplementazione di microelementi contenuti in particolari cibi deve essere integrato ma non deve prendere il posto del pasto. Secondo delle ricerche le persone che svolgono attività fisica e seguono un’alimentazione ipercalorica e ricca di grassi presentano una maggiore probabilità di contrarre l’Alzheimer rispetto a persone che seguono una dieta ricca in vitamina C, E, beta-carotene e acidi grassi omega-3. Dagli studi emerge che l’esposizione ai pesticidi (insetticidi, seguiti da fungicidi ed erbicidi) aumenta il rischio di ammalarsi di Parkinson: per la sua prevenzione e gestione si deve migliorare la qualità della vita cercando di rimuovere tutte le condizioni che possono acuire lo stato di depressione e di disturbo psichico. Esistono inoltre delle sostanze nutrizionali utili: il caffè, il tè (Egcg), i bioflavonoidi (catechine, antocianine, quercetina, acido caffeico, ecc.) e la vitamina D che risultano essere avere una maggiore efficacia neuroprotettiva. La demenza vascolare potrebbe dipendere da sette fattori di rischio legati allo stile di vita: diabete, ipertensione, obesità, inattività fisica, depressione, fumo e basso livello di istruzione. |
sistema nervoso (SNC) |
riduzione di capacità cognitive, confusione e parola lenta; demenza, malattia mentale, epilessia, Alzheimer, compromissione della memoria età correlata, declino cognitivo lieve, demenze primarie, malattia di Alzheimer, demenza fronto-temporale di pick, demenza a corpi di lewy, idrocefalo normoteso, degenerazione cortico-basale, demenze secondarie, demenza vascolare, otite, otite colesteatomatosa, otite del nuotatore, otite esterna, acufeni, farmaci ototossici, herpes zoster oticus, neurinoma acustico, ipoacusia da trauma acustico acuto, ipoacusia da trauma acustico cronico, apparato uditivo, orecchio, |
eleuterococco
Come tonico per contrastare debolezza e fatica. Azione ipertensivante. Proprietà antiossidanti e immunostimolanti. La Commissione E del BfArM ne consiglia l’uso come tonico per contrastare debolezza e fatica, per aumentare la capacità di lavoro e di concentrazione e come ricostituente durante gli stati di convalescenza. In vitro le proprietà neuroprotettive dell’eleuterococco sono state dimostrate da tre studi riassunti sulla monografia dell’EMA. Essi riportano un’azione di rigenerazione neuronale e ripristino dei collegamenti sinaptici intracellulari nelle cellule nervose danneggiate dal beta amiloide (responsabile dell’insorgenza della demenza di Alzheimer) mediata principalmen te dall’eleutheroside B. In vivo ha dimostrato una riduzione dell’infiammazione e una riattivazione della microglia nell’ischemia cerebrale dei ratti. Liu e colleghi, nel 2012, hanno pubblicato uno studio su un aspetto peculiare dell’azione neuroprotettiva mediata dall’eleuterococco: ne hanno indagato la capacità di migliorare la funzionalità dopaminica in topi da laboratorio, ai quali era stata indotta una sindrome Parkinsoniana artificialmente (tramite l’iniezione di MPTP). Sono stati valutati i parametri della concentrazione cerebrale di dopamina e del numero di recettori D1 e D2 e il tempo di arrampicata sul palo. Dati i risultati positivi per tutti i parametri indagati, gli autori concludono che l’estratto di Eleutherococcus senticosus può essere utile nella neuroprotezione anche della funzione dopaminica. Lo stesso autore, in un articolo dedicato alle piante ad azione anti-Parkinson, ha incluso l’eleuterococco tra le piante potenzialmente efficaci sul Morbo di Parkinson nei modelli sperimentali in vivo (Liu, 2012; EMA, 2013). Ritenuto una pianta ad attività adattogena e antistress, hanno in verità dimostrato, sperimentalmente, un’interessante attività immunostimolante con aucina mento della fagocitosi, del numero dei linfociti T e delle cellule NK, della produzione di interferone e della risposta anticorpale. Le proprietà immunostimolanti sarebbero da ascrivere alla frazione dei polisaccaridi di cui è ricca la radice della pianta, particolarmente indicata anche come rimedio antiastenico nel periodo della convalescenza da influenza o altre malattie infettive. La MTC considera Ci Wu Jia un tonico per individui affaticati e afflitti da dolenzia generale e malessere imputabile a rallentamento e stasi tessutale, che si manifesta anche con dermatosi e dolori muscolari e articolari. Nervosismo, scarsa lucidità e sonnolenza, senza riuscire a riposare bene, convergono in una stanchezza debilitante, che espone a infezioni frequenti, a loro volta logoranti. La letteratura scientifica evidenzia che l’attività adattogena di Eleuterococco è incentrata in ambito immunitario e metabolico. I suoi effetti come tonico e stimolante si addicono ad allentare la sensazione di spossatezza fisica, psichica e intellettiva, quando lo stress scoordina l’organizzazione delle difese, aumentando la recettività a infezioni respiratorie e cutanee; aiuta inoltre a regolare i tassi ematici di colesterolo e glucosio e a normalizzare i valori pressori. |
agaricus blazei
Come i funghi Shiitale, Maitake, Reishi ecc., possiede polisaccaridi che rafforzano le funzioni immunitarie. Il fungo Agaricus blazei murril finora ha dato risultati di particolare efficacia in alcune patologie tumorali come quelle polmonari, epatiche e pancreatiche, nonché nel cancro del seno, in quello prostatico e cerebrale. Possiede polisaccaridi a effetto inibente la crescita tumorale e stimolanti il sistema immunitario, due di questi con legami proteici (peptidi polisaccaridici), Il PSP e il PSK, studi con quest’ultimo – ottenuti dal micelio – hanno mostrato un’azione stimolante del sistema immunitario e un’ampia azione antineoplastica. Questo polisaccaride agisce direttamente sulle cellule tumorali stimolando indirettamente l’immunità cellulare e sostenendo di conseguenza le difese antitumorali del corpo. Questo fungo ha una chiara funzione antiangiogenetica e antiproliferativa. Altre due funzioni sono: l’attività antiallergica, attraverso l’attivazione dei macrofagi e la differenziazione dei linfociti T in cellule Th1 migliorando la bilancia Th1/Th2, e la capacità antifungina nei confronti della Candida Albicans aumentando la produzione del perossido di idrogeno dei macrofagi. |
mucuna
La mucuna, legume rampicante della famiglia delle Fabacee, è forse la migliore fonte naturale di L-dopa, il gold standard nel trattamento del Parkinson. Le quantità contenute nei semi della mucuna (5% in media) e la buona biodisponibilità consentono di ottenere dosaggi terapeutici comparabili con quelli farmacologici. L’assenza di effetti collaterali è un altro aspetto positivo riscontrato nei pochi studi clinici eseguiti su malati di Parkinson |
caffè verde
Il caffè, con i suoi principi attivi, in particolare la caffeina, risulta probabilmente la più importante componente alimentare in grado di prevenire, ma anche rallentare, il Parkinson. Il meccanismo d’azione più plausibile è l’antagonismo per il sottotipo recettoriale adenosinico A2A, espresso prevalentemente nei neuroni del corpo striatopallido. Tale antagonismo è in grado di ridurre la neurotossicità dopaminergica. Altre sostanze, come la paraxantina, il più importante metabolita del caffè, ha simile attività neuroprotettrice attraverso meccanismi non dipendenti dai recettori adenosinici ma attraverso l’inbizione di Parp-1 (Poly(Adp-ribose) polymerase-1). L’azione combinata dei principi attivi presenti nel caffè si traduce anche con una riduzione della neuroinfiammazione, altra caratteristica del PD. Su modelli animali, è stato riscontrato come l’impiego del caffè, a dosi comparabili con quelle consumate dagli uomini, sia in grado di ridurre il danno neurologico anche a patologia conclamata, aumentando così le già interessanti sue caratteristiche protettive1. Importanti studi epidemiologici mostrano come il consumo abituale, anche non elevato, di caffè (ma non il decaffeinato), sia in grado di ridurre, in maniera statisticamente significativa, il rischio di sviluppare il Parkinson |
quercetina
effetto neuro protettivo grazie all’azione antiossidante. Presente in molte verdure, riesce a passare la barriera emato-encefalica, seppur in quantità ridotte, dove sarebbe in grado di attivare la via di segnalazione Nrf2-Are (antioxidant response element) e quindi aumentare la difesa dagli stress ossidativi. La quercetina agisce anche su un’altra via di segnalazione, aumentando quella delle parossonasi (Pons-2), presente nei tessuti cerebrali; come enzima, legandosi al CoQ10, Pon-2 riduce i livelli di Ros (in particolare del perossido di idrogeno) a livello mitocondriale e citoplasmatico |
salvia
La somministrazione di estratti di Salvia può contribuire a migliorare le funzioni cognitive. La pianta sembra migliorare i processi mnemonici e in grado di contrastare il deterioramento che caratterizza il morbo di Alzheimer. Estratti ottenuti dalle foglie sarebbero in grado di bloccare l’acetilcolinesterasi, ovviando, di conseguenza alla carenza di acetilcolina caratteristica di questi stati. Non meno importanti nell’espletare tali attività, secondo i ricercatori, sono le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti sostenute dai composti polifenolici (acido caffeico, rosmarinico, ecc.) in grado di determinare proprietà neuroprotettrici. Nel fitocomplesso viene segnalata, inoltre, la presenza di due diterpeni, acido carnusico-carnosolo, ad attività benzodiazepino-simile (elevata affinità per i recettori GABA-ergici benzodiazepinici) e antiradicalica. Oltre a ciò si ricordano le proprietà amaro-tonicheP e stimolanti utili nelle forme dispeptiche e nell’atonia gastrointestinale (meteorismo, flatulenza) ecc. Avvertenze: l’impiego delle foglie, alle dosi usuali, risulta sicuro. |
ylang ylang
S l’aumento delle onde alfa cerebrali può essere considerato alla base dei fenomeni fisiologici delle capacità rilassanti dell’olio essenziale di Ylang Ylang : miglioramento in termini di rilassamento, vigilanza, prestazioni cognitive e velocità di elaborazione. |
astragalo
Il sistema immunitario è un ambito d’azione privilegiato. La farmacopea cinese vanta Huang Qi come rimedio tonico che sostiene l’energia vitale, in particolare quella difensiva (Wei Qi). La specie è inoltre tradizionalmente consigliata per preservare la struttura e la funzionalità dei tessuti (ptosi e prolassi, ulcere croniche, piaghe e ascessi) e per regolare la distribuzione dei fluidi, agendo su drenaggio linfatico e diuresi (ritenzione di liquidi, edemi agli arti, spesso freddi e con tendenza a intorpidirsi facilmente, feci fluide e malassorbimento). La ricerca moderna conferma l’attività adattogena di Astragalo e ne evidenzia le proprietà immunostimolanti e immunomodulanti: in particolare, favorisce il riconoscimento di virus e batteri patogeni da parte delle cellule epiteliali dell’intestino, delle vie respiratorie e urinarie. È quindi specifico per sostenere l’organismo quando lo stress altera l’efficienza delle difese (problematiche infettive, ma anche allergiche e autoimmuni), favorito da condizioni di progressivo rallentamento, ristagno e intossinazione dei tessuti. |
rusco
proprietà vascoloprotettrici, venotoniche, antinfiammatorie e antiedemigene che le sono attribuite. Numerose sono ormai le osservazioni cliniche che mettono in evidenza tali proprietà e che ne sottolineano l’efficacia nel trattamento dei disturbi del microcircolo in generale, nel migliorare la sintomatologia legata all’insufficienza venosa (gambe pesanti, parestesie, crampi, edema ecc.) e alla crisi emorroidaria (bruciore, prurito, congestione ecc.). Le proprietà vasculotrope sono attribuite alle saponine steroidee (ruscogenina e neoruscogenina), le quali, attraverso un’interazione diretta con gli adrenorecettori alfa-1 e alfa-2 posti sulle cellule muscolari lisce delle pareti venose e attraverso il rilascio della norepinefrina immagazzinata nelle terminazioni nervose che innervano le vene, esercitano una efficace vasocostrizione venosa e aiutano il ritorno venoso reso difficile dallo sfiancamento delle pareti stesse. A questa attività si associa l’azione antinfiammatoria e antiedemigena sostenuta dai saponosidi. |
ginseng
il Ginseng come la “radice del terzo occhio”, l’occhio della conoscenza di sé, che corrisponde al sesto chakra per la tradizione ayurvedica indiana. «il suo consumo durante un lungo periodo calma il sistema nervoso, stimola la mente, calma il nervosismo, stimola il cuore, migliora la saggezza e aumenta la longevità » [Campanini, 2012; Huang, 2011]. Tali proprietà sono state attribuite principalmente ai ginsenosidi, i principi attivi contenuti nella sua radice, che hanno dimostrato capacità adattogene, immunostimolanti e toniche generali. Nella Monografia dell’Organizzazione è riconosciuto l’utilizzo del Panax ginseng per tonificare l’organismo delle persone affaticate e asteniche, per ristabilire la concentrazione e per il recupero delle energie dallo stato di convalescenza. È la droga vegetale che presenta più ricerche scientifiche relative al suo potere adattogeno, difatti la rivista Planta Medica ne pubblicò uno studio già nel 1989 dove l’azione di gestione dell’astenia venne comprovata per una durata di 9-12 settimane. Importante secondo gli autori calibrare il dosaggio a seconda dello stato di salute psicofisica del soggetto [Schmidt, 1989]. Dal punto di vista neuroendocrino la revisione della letteratura sulle piante con effetto psicotropo di Jerome Sarris, professore dell’Università di Melbourne, ne dimostra la capacità di stimolo della corteccia surrenale con aumento della concentrazione urinaria di corticoidi e di modificazione della concentrazione endogena di dopamina, norepinefrina e serotonina. Tali interazioni ormonali e neurotrasmettitoriali, anche secondo i ricercatori australiani, sono alla base dell’effetto adattogeno dimostrato anche negli studi clinici [Sarris, 2011]. Alla fine del 2018 sul Journal of Alternative and Complementary Medicine è stata pubblicata una revisione della letteratura sull’effetto del Ginseng cinese (P. ginseng) e americano (P. quinquefolius) nella terapia delle fatigue. La redazione è stata guidata dal professor Arring del Dipartimento di Medicina Integrata dell’Arizona con i colleghi dell’Università di Portland. Il gruppo di lavoro ha selezionato 149 studi dei quali ne sono rimasti solo dieci con una buona qualità. I risultati dimostrano un’efficacia della terapia con Panax ginseng soprattutto quando esso è prescritto a un dosaggio superiore a 400 mg al die e per un tempo superiore alle due settimane. Sono consigliati metodi più rigorosi per la strutturazione di ricerche cliniche che consentiranno di valutare in maniera più definitiva l’efficacia della pianta nella cura della fatigue che per ora gli autori definiscono un “trattamento promettente”. Gli effetti avversi sono stati lievi e sovrapponibili al gruppo placebo [Arring, 2018]. Ben più incisiva è l’opinione invece della revisione della letteratura curata dall’Università di Firenze, secondo la quale il G115, un estratto standardizzato e brevettato di Panax ginseng presente da decenni sul mercato, «ha confermato anche nella clinica l’efficacia già dimostrata negli studi preclinici in merito alla regolazione del profilo lipidico e glucidico ematici, sulle patologie croniche ostruttive respiratorie, sull’aumento dell’energia e della performance fisica e cognitiva oltre che al sostegno immunitario». Conclude in merito agli effetti avversi che «50 anni di presenza sul mercato ne fanno un rimedio con una buon profilo di sicurezza» [Bilia, 2019]. Le proprietà della pianta che il medico deve tenere in considerazione per un ponderato utilizzo (soprattutto in integrazione alla terapia di sintesi) sono quelle ipoglicemizzante, estrogeno simile e ipocolesterolemizzante, oltre a quella tonica. I risultati delle ricerche sono ancora contrastanti sull’insonnia come suo effetto collaterale: la Farmacopea Italiana ne sconsiglia la somministrazione dopo le ore 17. Capasso, in uno dei testi di riferimento della fitoterapia, considera il Ginseng, se usato in modo corretto, una pianta sicura e la Commissione E tedesca non ne riporta controindicazioni [Capasso, 1999]. Il Ginseng si rivela quindi una risorsa importante per affrontare la fatigue grazie al suo potere adattogeno che, come ricorda Campanini, deve essere inteso come «una migliorata capacità di adattamento neuropsicologico alle esigenze e alle variazioni ambientali e un conseguente miglioramento della performance» [Campanini, 2012]. |
ginkgo
indicato nelle turbe vascolari della microcircolazione periferica e in particolare nell’insufficienza circolatoria cerebrale. Alla pianta, infatti, sono riconosciute proprietà vasoattive, reologiche e neurali. Ginkgo biloba è un vasoregolatore, vasodilatatore arteriolare, vasocostrittore venoso, rinforzatore della resistenza capillare, inibitore dell’aggregazione piastrinica ed eritrocitaria; diminuisce l’iperpermeabilità capillare, migliora l’irrorazione tissutale, attiva il metabolismo cellulare in particolare a livello corticale aumentando la captazione di glucosio e ossigeno”. I terpeni, in particolare il ginkgolide B, e i flavonoidi agirebbero come fattori neuroprotettivi, antiossidanti, scavenger dei radicali liberi, stabilizzatori di membrana e inibitori del fattore attivante le piastrine (PAF), mediatore pro-flogogeno e neurotossico, inibizione della deposizione di placche di beta-amiloide a livello vascolare ecc. L’estratto titolato di Ginkgo ottenuto dalle foglie è riconosciuto dalla Commissione E della Sanità tedesca e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come rimedio utile per alleviare acufeni e vertigini di origine vascolare. Anche se una Cochrane review (2009) ha segnalato che vi è una limitata evidenza circa la sua efficacia nel trattamento degli acufeni «quando questa è l’indicazione primaria», in uno studio successivo effettuato su pazienti con lieve o moderata demenza, alcuni dei quali presentavano anche tinnito, è stata riscontrata una piccola ma significativa riduzione dei sintomi relativi al tinnito nei pazienti che assumevano G. biloba. La pianta, infatti, ha dimostrato di influenzare la permeabilità vascolare e il metabolismo neuronale e quindi «esiste un razionale per la sua prescrizione» (Edwards S. et al., 2015). Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), European Scientific Cooperative on Phytotherapy (ESCOP) e Commissione E della Sanità tedesca riconoscono l’impiego dell’estratto titolato delle foglie di Ginkgo biloba nel trattamento adiuvante delle forme di demenza di origine vascolare o degenerativa (demenza- malattia del Alzheimer) caratterizzate da turbe psicocomportamentali, quali perdita della memoria, disturbi dell’attenzione, umore depresso, ecc.. Nel 2014 EMA ha pubblicato una monografia nella quale suggerisce come una terapia a base di Gingko biloba “potrebbe essere usata per il miglioramento del decadimento cognitivo (legato all’età) e della qualità della vita nelle forme iniziali di demenza. La prescrizione di questa pianta può contribuire ad alleviare le manifestazioni depressive nei soggetti anziani affetti da demenza o che non rispondono adeguatamente alla terapia antidepressiva. Viene suggerito il suo impiego anche nel trattamento dei disturbi del sonno dell’anziano che presenta depressione o tono dell’umore depresso. Attualmente numerosi studi sostengono l’efficacia degli estratti standardizzati di Ginkgo biloba nel trattamento dei disordini vascolari periferici, quali claudicatio intermittens e sindrome del Raynaud. Le preparazioni a base di Ginkgo biloba sono utilizzate anche nelle sindromi vertiginose, nella cefalea e nelle sequele da ictus. La pianta viene indicata anche per il trattamento del tinnito ma i dati che emergono dal vaglio della letteratura in questo ambito sono però ancora contrastanti. Il Ginkgo biloba è segnalato inoltre come medicamento ad azione venolinfatica e proctologica. I principi attivi sono principalmente i flavonoidi, quali quercetina e catechina, e i terpenoidi ginkgolide e bilobalide. Gli studi di laboratorio ne definiscono un potere neuroprotettivo e un’interazione con il neurotrasmettitore GABA e con le vie colinergiche e monoaminergiche. In particolare si è visto che l’estratto delle sue foglie stimola il rilascio delle riserve endogene di noradrenalina, il neurotrasmettitore centrale nella concentrazione e nelle competenze del cervello razionale. Lo stimolo delle altre monoamine eccitatorie (oltre alla noradrenalina interagisce anche con dopamina e serotonina) si è visto essere presente anche in situazioni di stress nelle quali i livelli dei neurotrasmettitori sono riportati a valori normali dopo somministrazione di ginkgo. A livello clinico, anche la Monografia dell’Oms ne riconosce un effetto terapeutico nella demenza e una qualità di sostegno delle funzioni cognitive. Uno studio randomizzato in doppio cieco effettuato in pazienti con disturbo d’ansia generalizzato ha riportato un miglioramento significativo nella scala di valutazione Hamilton dell’ansia (HAM-A) rispetto a placebo. Alcuni studi di psichiatria integrata hanno visto un miglioramento dell’efficacia della terapia antipsicotica con psicofarmaci quando associata all’estratto di ginkgo. Una revisione della letteratura del 2017 dedicata all’utilizzo del ginkgo nei disturbi mentali conclude che «i risultati tenuti in considerazione devono essere confermati con ulteriori ricerche cliniche, ma il ginkgo in vari studi clinici e preclinici ha dimostrato un effetto positivo nel miglioramento delle funzioni cognitive e nella riduzione dell’ansia sottostante a differenti condizioni patologiche» (OMS, Sarris 2011; Rinki, 2016; Baek, 2014; Shanti, 2013; Izzo, 2016). La ricerca scientifica anche questa volta conferma le indicazioni delle tradizioni: secondo la medicina tradizionale cinese lo yin xing tonifica jing e yin di rene (azione spesso utile nella depressione, astenia e ipoacusia), tonifica il qi di cuore (insufficienza circolatoria) e, secondo il più antico trattato della tradizione orientale, veniva utilizzato per trattare l’asma e le patologie del cervello (Sangiorgi, 2007). Ecco già apparire millenni fa l’altro suo utilizzo terapeutico utile nella dispnea psicogena: l’asma. Le ricerche cliniche riportano per i ginkgolidi estratti dalla pianta un’azione antiasmatica e antinfiammatoria che consente l’inibizione dell’iperreattività bronchiale. Ciò è quanto emerge da molti studi clinici e preclinici che ne definiscono chiaramente un meccanismo d’azione funzionale alla regolazione dell’iperreattività bronchiale: inibizione della degranulazione mastocitaria, azione anti PAF, riduzione della tossicità IgE mediata ecc. È da ricordare nella prescrizione terapeutica dell’estratto di ginkgo che esso presenta interazioni farmacologiche note di rilievo soprattutto nelle terapie anticoagulanti. (Firenzuoli, 2009; Arnold, 2008) |
melissa
Commissione E del BfArM ed ESCOP ne riconoscono l’uso per alleviare insonnia e stati di ansia e agitazione. Alcuni studi hanno evidenziato che gli estratti di Melissa sono in grado di influenzare l’attività recettoriale colinergica e di conseguenza potrebbero risultare efficaci nel migliorare i processi mnemonici e i deficit cognitivi connessi con la malattia di Alzheimer. Capasso et al., fanno notare che “i principali monoterpeni identificati nell’olio essenziale, ovvero il gerianale e il nerale, sono deboli inibitori delle colinesterasi”. La pianta sarebbe pertanto indicata nelle forme di gravità lieve o media nel soggetto affetto da Alzheimer in quanto la sua somministrazione ha un effetto positivo anche sullo stato di agitazione dei pazienti. Interessante risulta essere l’uso esterno della pianta che, sottoforma di preparati a base di olio essenziale, mostra di possedere azione sedativa e calmante in soggetti affetti da demenza complicata da agitazione psicomotoria e comunque di possedere effetti benefici in caso di insonnia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2004), l’inalazione dell’olio essenziale ha dimostrato di possedere una debole azione tranquillizzante nella cavia. |
schizandra
Il sistema immunitario è un ambito d’azione privilegiato. La farmacopea cinese vanta Huang Qi come rimedio tonico che sostiene l’energia vitale, in particolare quella difensiva (Wei Qi). La specie è inoltre tradizionalmente consigliata per preservare la struttura e la funzionalità dei tessuti (ptosi e prolassi, ulcere croniche, piaghe e ascessi) e per regolare la distribuzione dei fluidi, agendo su drenaggio linfatico e diuresi (ritenzione di liquidi, edemi agli arti, spesso freddi e con tendenza a intorpidirsi facilmente, feci fluide e malassorbimento). La ricerca moderna conferma l’attività adattogena di Astragalo e ne evidenzia le proprietà immunostimolanti e immunomodulanti: in particolare, favorisce il riconoscimento di virus e batteri patogeni da parte delle cellule epiteliali dell’intestino, delle vie respiratorie e urinarie. È quindi specifico per sostenere l’organismo quando lo stress altera l’efficienza delle difese (problematiche infettive, ma anche allergiche e autoimmuni), favorito da condizioni di progressivo rallentamento, ristagno e intossinazione dei tessuti. |
rosmarino
esercita un’azione neurotonica e riequilibrante in tutti quei casi ove occorra, per migliorare lo stato generale, regolarizzare lo stato epatodigestivo, disintossicando l’organismo. Sembrano migliorare significativamente, inoltre, le performance della memoria (memoria visuo-spaziale e memoria a breve termine). Indubbie ormai le proprietà antiossidanti dovute in parte all’acido rosmarinico e soprattutto ai diterpeni per i quali è stata valutata l’efficacia su diversi modelli sperimentali. È stato pubblicato un interessante studio che ha indagato l’impatto olfattivo dell’olio essenziale di Rosmarinus officinalis sulle funzioni cognitive e sull’umore di individui adulti in buona salute. Gli autori riferiscono di aver ottenuto nel complesso risultati migliori rispetto al gruppo controllo e che i risultati indicano che le proprietà olfattive dell’olio essenziale di Rosmarino possono produrre effetti obiettivi sulle prestazioni cognitive (miglioramento memoria visuo-spaziale e memoria a breve termine), nonché effetti soggettivi sull’umore. Un precedente studio, anche se piccolo, aveva già evidenziato un effetto positivo sull’umore di soggetti adulti esposti all’olio essenziale di Rosmarino. Avvertenze: l’ESCOP raccomanda di riservare l’olio essenziale all’uso esterno. |
vitamina D
Nel cervello e nel sistema nervoso la vitamina D agisce sia tramite il suo specifico recettore (VDR), membrodella famiglia degli ormoni steroidei e relativi fattori di trascrizione, sia tramite un recettore rapido, denominato, oltre che RR, anche MARRS (legante steroideo a risposta rapida associato alla membrana) o Erp57/Grp58. Mediante tali recettori, la vitamina D potrebbe modulare positivamente malattie quali sclerosi multipla, epilessia, Parkinson e depressione (4). Una delle cause del declino cognitivo negli anziani potrebbe essere un’infiammazione cronica di basso grado e l’accumulo di placche amiloidi. La vitamina D agisce positivamente grazie alla modulazione su importanti interleuchine (è in grado di ridurre l’IL-1, ad azione pro-infiammatoria, e di aumentare l’IL-10, dall’azione anti-infiammatoria) e all’aumento della clearance delle proteine beta-amiloidi. Per quanto riguarda la depressione, poche le reviews sistematiche o le meta-analisi specifiche. In una delle poche meta-analisi recenti, effettuata in Corea, i livelli di vitamina D sono risultati inversamente proporzionali, in maniera significativa, alla gravità della depressione in circa il 50% degli studi esaminati. Negli oltre 12mila pazienti inclusi nella metaanalisi, ogni aumento di 10 nmol/L di vitamina D portava a un minore indice depressivo (6). Da diverso tempo in alcuni centri si combatte la depressione con l’esposizione alla luce di lampade che simulano lo spettro solare completo. Tra i motivi dei buoni risultati potrebbe esservi il fatto che la vitamina D viene essenzialmente prodotta a partire dalla pelle esposta alle radiazioni solari. Grazie alla sua accertata azione sul SNC (presenza di recettori specifici nel cervello, up-regolazione di fattori neurotropici, stabilizzazione delle membrane mitocondriali, azione antiossidante), si sta cercando di capire se vi sia una correlazione tra carenza di vitamina D e Parkinson. Secondo uno studio americano tale correlazione esiste: 286 pazienti con Parkinson sono stati esaminati per quanto riguarda diverse funzioni (cognitive, memoria verbale, fluidità di linguaggio, funzioni spaziali, funzioni esecutive, severità della malattia e depressione). Usando modelli statistici di regressione lineare multivariata, maggiori concentrazioni di vitamina D sono risultate associate a migliori prestazioni globali, specialmente nella fluidità e memoria verbale e nella depressione (p=0,0083). Una più recente meta-analisi cinese ha ricercato la stessa eventuale associazione tra vitamina e malattia. Il totale dei pazienti esaminati è stato di poco superiore a 1000, comparati con circa 4mila controlli in buona salute. I pazienti con insufficienti livelli di vitamina D (<75 nmol/L) hanno mostrato un maggiore rischio di Parkinson; pazienti con deficit di vitamina D (<50 nmol/L) hanno evidenziato un rischio raddoppiato. La conclusione è che esista un collegamento tra livelli di vitamina D e aumentato rischio di Parkinson. In tutti i casi occorrono ulteriori studi per capire se la carenza di vitamina D sia causa, concausa o effetto di malattie del sistema nervoso. |
lavanda
monografia della Commissione E della Sanità tedesca che segnala l’infuso preparato con fiori essiccati come un medicamento sicuro nel trattamento delle turbe dell’umore, dell’insonnia e dei dolori addominali funzionali (meteorismo, ecc.). Ai fiori sono attribuite, oltre alle note proprietà colagoghe, coleretiche ed eupeptiche atte a facilitare i processi digestivi, interessanti proprietà antispasmodiche e sedative. L’olio essenziale, presente nel fitocomplesso, si caratterizza per le proprietà neurosedative e analgesiche. Sembra, inoltre, che l’odore dei fiori o dell’essenza favorisca l’addormentamento e una buona qualità del sonno. Avvertenze: Non sono segnalati effetti secondari e tossici alle dosi terapeutiche, a meno che non vi sia una particolare sensibilità individuale. |
cacao
Gli effetti dei polifenoli del cacao sulle funzioni cognitive sono stati vagliati da numerosi studi scientifici che, utilizzando diverse modalità di intervento (dosi, tempi, test cognitivi e caratteristiche dei partecipanti), hanno condotto a risultati non omogenei ostacolando l’interpretazione e il confronto dei dati. Questa recente revisione sistematica ha valutato gli effetti dei polifenoli del cacao sulle performance cognitive, discutendo anche quali aspetti metodologici possono contribuire a conseguire risultati più omogenei della ricerca. È stata condotta, a tal fine, una ricerca sulle principali banche dati internazionali per individuare gli studi clinici randomizzati che hanno preso in esame l’effetto dei polifenoli del cacao sulla funzione cognitiva di soggetti sani (18-50 anni). Sulla base di 271 articoli, sono stati selezionati 12 studi clinici che rispondevano ai criteri di inclusione; la qualità delle ricerche è stata valutata con il ‘Cochrane risk for bias tool’. Otto ricerche riguardavano il cacao, due il cioccolato, una le barrette di cioccolato e un’altra interventi misti. I risultati suggeriscono che il consumo dei polifenoli del cacao esercita effetti positivi associati a processi cognitivi come la memoria, la motricità, le funzioni esecutive e il QI. Le dimensioni degli effetti degli interventi con risultati significativi sembrano essere maggiori dopo il consumo di dosi intermedie di flavanoli . Nel complesso questo insieme di studi suggerisce un effetto positivo dei polifenoli del cacao sulla memoria e sulle funzioni esecutive, ossia le abilità che permettono a un individuo di progettare, definire obiettivi, attuare tali progetti, controllare e modificare il proprio comportamento. Gli autori, in conclusione, suggeriscono di realizzare ulteriori studi per approfondire le fonti di variazione identificate e rafforzare le promettenti prove di efficacia esistenti sui polifenoli del cacao. Questa ricerca ha sintetizzato gli effetti acuti e cronici della somministrazione di cacao sulle funzioni cognitive e sulla salute cerebrale nei giovani adulti. Nelle banche dati Web of Science e PubMed sono stati ricercati gli studi randomizzati e controllati condotti sull’uomo secondo le linee guida PRISMA circa il ruolo del cacao sulle prestazioni cognitive di giovani adulti (età media ≤ 25 anni). Ne sono stati selezionati 11 che hanno coinvolto in totale 366 soggetti. I risultati dei singoli studi hanno confermato che l’assunzione acuta e cronica del cacao ha un effetto positivo su diversi parametri cognitivi. Dopo un consumo acuto, gli effetti benefici sembrano associati a un aumento del flusso sanguigno cerebrale o dell’ossigenazione del sangue cerebrale. Dopo l’assunzione cronica di flavanoli del cacao, è stata riscontrata una migliore performance cognitiva insieme all’aumento dei livelli di neurotrofine nei giovani adulti. Questa revisione sistematica sostiene, dunque, l’effetto benefico dei flavanoli del cacao sulla funzione cognitiva e sulla neuroplasticità, indicando che tali benefici sono possibili nella prima età adulta. |
bacopa
L’efficacia di Brahmi sul cervello A livello neurofarmacologico tali molecole presenti nel fitocomplesso di Bacopa monnieri proteggono il sistema nervoso centrale dai danni causati dallo stress ossidativo e dal deterioramento legato all’età tramite differenti meccanismi d’azione. Prevengono l’aggregazione e la formazione degli ammassi neurofibrillari caratteristici della malattia di Alzheimer e al contempo proteggono i neuroni dalla tossicità indotta da tali aggregati. Su animale si sono evidenziate anche le proprietà di interazione neurotrasmettitoriale agite su serotonina, dopamina e ACH (acetilcolina) tali da comportare il miglioramento della memoria e delle capacità di apprendimento. Il meccanismo antiossidante è stato indagato ampiamente in differenti ricerche di laboratorio, che ne hanno confermato l’azione sull’anione superossido, il radicale idrossile e l’ossido nitrico, responsabili dello stress ossidativo che induce neurodegenerazione nel morbo di Alzheimer. Dagli anni Novanta il Central Drug Research of India ha condotto molte ricerche cliniche utilizzando Bacopa prima su volontari sani e poi su persone malate. La si ritiene d’aiuto quando “gli squilibri della mente” sono alimentati da una profonda ansia, con difficoltà di respiro e attacchi d’asma, accelerazioni del battito cardiaco, alterazioni della motilità gastrointestinale, mal di testa pulsanti, insonnia e altri disturbi di origine psicogena scatenati dalla pressione emotiva e dallo stress. In Occidente Bacopa è considerata un adattogeno con note sedative e un nootropo che favorisce le prestazioni intellettive e la memoria, ma è anche un neuroprotettivo indicato a tutelare da evoluzioni degenerative le cellule cerebrali. Ciò la consiglia nelle situazioni di sovraccarico psicofisico caratterizzate da ansia e spasmofilia, con scarsa lucidità mentale, stanchezza intellettiva e indebolimento cognitivo. Da quegli anni, motivati dalle scoperte sperimentali sull’efficacia farmacologica dei suoi principi attivi (soprattutto la Bacoside A), molti altri enti di ricerca internazionali hanno concentrato gli studi anche s popolazioni di differente età (dagli anziani agli adolescenti) e in differenti contesti patologici (dalla depressione alla demenza). Uno studio di 6 mesi sull’impiego di un estratto standardizzato della pianta in anziani affetti da demenza di Alzheimer ha evidenziato un miglioramento delle capacità cognitive. Lo strumento di valutazione è stato la Mini-Mental State Examination Scale (MMSES) e l’efficacia è stata riscontrata in più parametri quali orientamento nello spazio e nel tempo, attenzione, capacità di linguaggio, lettura, scrittura e comprensione. Sono allo studio anche gli effetti di bacopa sull’apparato gastrointestinale e in oncologia. Nel primo caso degli studi in vitro ne hanno dimostrato l’attività spasmolitica sui muscoli lisci dell’intestino tramite azione sull’attività transmembrana del calcio, effetto che potrebbe aprire l’indagine del suo utilizzo in problemi intestinali come l’intestino irritabile. Altro effetto, in questo caso a livello gastrico, è quello di miglioramento della degenerazione ulcerosa della mucosa, interessante se combinato a quello psicosomatico, ad esempio nell’integrazione alla cura delle gastriti da stress. In ambito oncologico, invece, le proprietà in corso di ricerca sono quelle di protezione dalla degenerazione tumorale nelle cellule di fegato e dei tessuti molli. Le proprietà di sostegno alla gestione del fibrosarcoma sono state indagate in sperimentazioni in vivo su cavie e si suppone determinate dalle qualità antiossidanti dei principi attivi della pianta, come riportato in una review indiana del 2017; l’azione epatoprotettrice utile negli epatocarcinomi, invece, è stata esplorata in un’altra ricerca di laboratorio condotta sulla linea cellulare dell’epatocarcinoma, verso la quale le molecole bioattive bacoside A e B hanno dimostrato poteri di inibizione della proliferazione delle cellule HepG2 tramite il blocco del ciclo riproduttivo e l’induzione apoptotica. Uno studio condotto su anziani sani della durata di 12 settimane ha confermato tali risultati con l’utilizzo del medesimo estratto, includendo anche dati confortanti riguardo alla sicurezza della pianta. Un altro lavoro indiano su 60 studenti di medicina ha confrontato per 12 settimane l’uso di estratto secco standardizzato di Bacopa monnieri , con un placebo dimostrando la superiorità di bacopa nei test cognitivi applicati. Alcuni risultati interessanti si sono evidenziati anche nella valutazione clinica dell’efficacia di Brahmi associata ad altri fitoterapici. Assieme a zafferano, rame e vitamina B in una popolazione di anziani ha migliorato il decadimento delle funzioni cognitive, lo stress percepito e la depressione (testati con il MMSES, il Percieved Stress Questionnaire e il Self-Rating Depression Scale). Uno studio australiano su cavia ne ha notato il potenziamento dell’efficacia contro la demenza quando associato a Ginkgo biloba. L’efficacia di Brahmi nella depressione e nell’ansia emerge come dato preliminare nella conclusione della review indiana del 2010, dove viene riportato uno studio di comparazione di efficacia della pianta con un antidepressivo (imipramina) su cavia. Il risultato di efficacia simile di bacopa e imipramina è spiegato grazie al suo meccanismo farmacologico neurotrasmettitoriale, che vede un’interazione con la serotonina e la dopamina oltre che con il GABA (che ha denotato, sempre in vivo, effetti ansiolitici). Altre sperimentazioni su cavia ne sostengono l’effetto ansiolitico confermato anche in un trial clinico in doppio cieco con gruppo di controllo dove estratto secco di Bacopa, valutazione effettuata con scala STAI (State-Trait Anxiety Inventory). In Australia il gruppo di ricerca della Swinburne University di Melbourne ha testato l’efficacia dell’estratto riportando un miglioramento e un mantenimento delle capacità cognitive e di memorizzazione negli adulti e negli anziani con studi condotti in doppio cieco e con gruppo di controllo, quindi di buona qualità. Un risultato importante è suggerito dalla revisione della ricerca clinica effettuata dalla medesima équipe nella popolazione di ragazzi e adolescenti. La conclusione riporta la sicurezza dell’utilizzo di Bacopa monnieri in questa popolazione con miglioramento degli elementi di cognizione, comportamento e deficit di attenzione. La bacopa, pianta nota per i suoi effetti positivi su altre funzioni cerebrali (perdita memoria, depressione, problemi vascolari), sta mostrano risultati interessanti anche su malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. Tra le azioni finora studiate, volte a ottenere un miglioramento complessivo della sintomatologia del Parkinson, ci sono: l’abbassamento dei valori di malondialdeide e idroperossidi; la riduzione di Ros, innalzati a livello cerebrale soprattutto in soggetti esposti a pesticidi quali il paraquat; la riduzione degli aggregati di alfa-sinucleina. La maggioranza degli studi e review di studi clinici condotti ad oggi comunque sottolinea che i risultati proposti non possono essere considerati definitivi, in quanto sono necessari altri studi di conferma condotti su popolazione più ampia e con una analisi statistica di migliore qualità. Per tale motivo la FDA a maggio 2019 ha emesso degli avvisi ad alcune aziende statunitensi, sottolineando che tali effetti nootropici terapeutici nella demenza di Alzheimer non sono confermati definitivamente e non possono essere riportati in etichetta. |
scutellaria
La radice di scutellaria è ricca di flavonoidi, tra cui spicca la baicaleina, un flavone dalla spiccata azione antiossidante, in grado di ridurre i livelli di malondialdeide. Anche la wogonina, un altro flavone presente nella scutellaria ha mostrato favorevoli azioni sulla rigenerazione dei tessuti cerebrali |
rhodiola rosea
efficace rimedio per il sovraffaticamento mentale. Tradizionalmente usata per rinvigorire le forze e la capacità di resistenza, era inoltre nota per favorire una lunga vita e garantire fecondità. La scienza ha confermato che la “radice d’oro” migliora le capacità di concentrazione e memoria, lenisce le tendenze depressive, allevia la stanchezza muscolare e l’affaticamento del cuore. L’effetto ringiovanente si esplica con un’importante azione antiossidante, incentrata a livello cerebrale e cardiovascolare e con l’attivazione endocrina, che migliora la libido e favorisce la fertilità. Rodiola è l’adattogeno per chi si sente sconfortato, emotivamente e intellettivamente inadeguato a stare al passo con la vita. È un disagio che mina gli affetti e il desiderio, amareggia il cuore, ma segna anche pesantemente l’equilibrio e la funzionalità cardiovascolare e cerebrale. Numerosi e recenti lavori scientifici, hanno dimostrato che Rhodiola rosea può incrementare i livelli di serotonina (5-HT) e che questa può essere un aiuto concreto nei casi di scarsa energia vitale, scoraggiamento, alcuni disturbi dell’umore e dell’alimentazione, poichè la carenza di 5-HT può far prediligere come atto compensatorio l’assunzione di carboidrati ad alto indice glicemico anche nelle ore serali. I preparati a base di rodiola sono consigliati in caso di tinnito al fine di diminuire la sintomatologia e migliorare l’udito. Il meccanismo d’azione della pianta non è stato ancora chiarito, ma sembra possa dipendere dalla proprietà serotoninergiche che le sono attribuite. Grazie a tali proprietà, la sua prescrizione può contribuire a ridurre l’intensità degli acufeni agendo direttamente sulla conduzione nervosa dello stimolo uditivo, in particolare sulle vie uditive centrali, ricche di recettori per la serotonina. La serotonina, infatti, è coinvolta nella modulazione dei processi sensoriali della corteccia uditiva primaria ed è possibile che in seguito alla disfunzione del sistema serotonergico possa aumentare la coscienza dell’acufene, riducendo di conseguenza la sua tollerabilità. Presenta inoltre proprietà antiossidanti, antistress, immunomodulanti e antiflogistiche. In caso di tinnito idiopatico una terapia antiossidante sembra ridurre l’intensità dell’acufene e il disagio soggettivo che ne deriva e pertanto è considerata come una modalità terapeutica supplementare da attuare nel trattamento di tale patologia. La prescrizione di Rhodiola rosea, infine, può risultare indicata grazie anche alla documentata azione antistress della pianta. Alla radice (salidroside, rosavidina,ecc.) sono riconosciute oltre a proprietà adattogene (rafforza il sistema immunitario e combatte lo stress) proprietà serotoninergiche oltre che dopaminergiche e quindi antidepressive. Sarebbe in grado inoltre di contrastare la “fame nervosa” e di stimolare la lipasi presente nel tessuto adiposo favorendo in questo modo la mobilizzazione degli acidi grassi. Risulta importante abbinare dopo l’assunzione della pianta una moderata attività fisica per almeno 45-60 minuti. A riposo infatti la liberazione di acidi grassi è risultata minore. Interessante l’ effetto anabolico a livello muscolare con conseguente aumento della capacità di resistenza allo sforzo fisico e con miglioramento delle prestazioni. Per queste sue caratteristiche può essere considerata un valido tonico psicostimolante. La sua prescrizione risulta pertanto indicata negli stati depressivi di moderata o lieve entità, in casa di fame nervosa, sovrappeso o tendenza al sovrappeso e come sostegno all’attività fisica. Rhodiola rosea titolata in rosavin, pare sia in grado di stimolare l’attività di alcune lipasi favorendo la mobilitazione dei lipidi. Gli studi mettono in evidenza, che per ottenere l’effetto lipolitico rosavin dipendente, sia necessario un esercizio fisico moderato. Il rosavin dunque sembra svolgere un utile ruolo sugli adipociti favorendo, in 2-3 mesi, la riduzione dell’adipe superfluo. Un’altra molecola attiva è il salidroside, che pare sia utile contro gli attacchi di iperfagia. La rodiola riduce un’esagerata frequenza cardiaca sotto sforzo. Attualmente potrebbe essere considerata la pianta ad azione adattogena di riferimento, agendo sia sull’umore, sia sull’incremento della resistenza nei confronti dello stress fisico e psichico. La rodiola può essere indicata in caso di tendenza depressiva anche nei cambi stagionali, per migliorare la memoria e l’apprendimento, favorire il recupero sportivo, dallo stress in generale e come tonico. In Siberia veniva prescritta come afrodisiaco e i vichinghi la usavano per sostenere il vigore dei guerrieri durante le battaglie. I suoi componenti biologicamente attivi sono molti, ma gli effetti tonici e adattogeni dipendono principalmente dal meccanismo d’azione dei glicosidi fenolici rosavina e salidroside. Le proprietà a loro riconosciute da diverse review e dai testi di riferimento della fitoterapia sono: adattogena, antifatica, neuroprotettiva, immunostimolante, antidepressiva, ansiolitica e cardioprotettiva. L’interazione neuroormonale descritta include la variazione della concentrazione di dopamina e serotonina, l’aumento dei livelli di ATP (adenosina trifosfato) e CP (creatinfosfato) nel tessuto muscolare striato e l’aumento delle beta endorfine in circolo per citarne i principali [Sarris, 2007]. A livello clinico la rhodiola è stata studiata sulla popolazione sana in uno studio condotto su un gruppo di studenti universitari. I risultati hanno dimostrato un aumento della performance mentale soprattutto con l’utilizzo di dosaggi più elevati e per un breve periodo di tempo. Una delle modalità estrattive più utilizzate nelle ricerche cliniche è l’estratto secco titolato in rosavina al 3% e salidroside 1% al dosaggio di 200-600 mg al die divisi in due somministrazioni evitando l’assunzione della sera. Gli studi clinici finora non hanno evidenziato effetti collaterali di rilievo facendo rientrare la Rhodiola rosea nelle droghe sicure [Sarris, 2007; Panossian, 2010; Firenzuoli, 2009]. Una revisione della letteratura sull’efficacia della rodiola nella gestione dello stress è stata pubblicata nel 2018 su International Journal of Psychiatry in Clinical Practice. I ricercatori rappresentanti i Dipartimenti di Psichiatria e Psicoterapia delle Università di Zurigo e Vienna hanno concluso che l’utilizzo dell’estratto di Rhodiola rosea (al dosaggio di 200 mg due volte al die per un tempo fino a 12 settimane) è un utile presidio di prevenzione dello stress cronico, nella cura dei sintomi stress correlati e nella prevenzione delle complicazioni come il burnout e le patologie stress correlate [Anghelescu et al., 2018]. È importante che il terapeuta tenga in considerazione l’effetto stimolante della rodiola sul sistema nervoso centrale, che in alcuni casi può essere la caratteristica che comporta la controindicazione del rimedio nel paziente (un esempio è il soggetto affetto da disturbo bipolare, nel quale è importante non scatenare un’ipereccitazione nervosa). Inoltre, sono importanti la posologia e la durata della terapia, che devono essere adeguate in base alle condizioni soggettive del paziente. |
cumino nero
Gli estratti di cumino nero SNS e il TC hanno, in linee cellulari e modelli
animali sperimentali, effetti protettivi contro alcune
malattie neurodegenerative (Morbo di Alzheimer,
Morbo di Parkinson ecc.). Purtroppo il numero di studi
sull’uomo è molto basso e sono pertanto necessari ulteriori
studi per confermare questi effetti (Samarghandian
et al. 2018).
calendula e luteina
Elizabeth Johnson, una studiosa dei carotenoidi presso il Centro di Ricerca sulla Nutrizione Umana della Tuft University, aveva pubblicato nel 2012 un articolo nel quale esaminava i possibili effetti benefici della luteina alimentare per la funzione cognitiva. Lo stimolo a questa ricerca le era venuto dalla constatazione che l’occhio è una estensione del sistema neurale, e molti studi hanno mostrato che i deficit cognitivi sono spesso correlati a malattie dell’occhio di tipo senile, suggerendo la presenza di fattori simili. Quando si rese possibile analizzare campioni cerebrali di 48 soggetti che avevano partecipato a uno studio sui centenari in Georgia (Georgia Centenarian Study), lo studio evidenziò che la luteina è il principale carotenoide nel cervello degli anziani, nonostante non sia il più importante nel flusso ematico, suggerendo una captazione preferenziale; che, a differenza di tocoferoli e beta-carotene, la luteina nel cervello è costantemente associata (sia statisticamente sia clinicamente) a risultati di un ampio ventaglio di test cognitivi (funzione esecutiva, linguaggio, apprendimento, memoria); ma soprattutto che agli effetti sui test corrispondevano elevate concentrazioni di luteina nelle aree cerebrali legate a tali funzioni. |
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