n 12

Uno dei principali segreti per la longevità è avere una dieta bilanciata, associata a un consumo regolare di proteine (vegetali) e cibi di origine vegetale (cereali integrali, frutta, verdure, legumi, semi oleaginosi e olio d’oliva), limitata nell’assunzione di grassi animali (burro, salumi) e regolata nel consumo di alcolici, sale e alimenti ad alto indice glicemico (dolci). Il mantenimento dell’efficienza fisica (contrastando la sarcopenia, l’osteoporosi, il rischio di cadute e il decadimento mentale) consiste nello svolgere allenamenti fisici aerobici (ginnastica, ballo, walking, jogging, ciclismo, nuoto) uniti a esercizi di resistenza, coordinamento, flessibilità ed equilibrio posturale. Uno dei fattori che contribuisce all’accelerazione del decadimento cerebrale è l’infiammazione sistemica cronica. Diverse evidenze hanno correlato l’infiammazione al deterioramento intellettivo e all’aumento del rischio di demenza: una serie di fattori che riguardano lo stile di vita (come il peso corporeo in eccesso e il comportamento sedentario) possono aggravare negli anziani uno stato pro-infiammatorio, con flogosi cronica di basso grado che funge da coattivazione e conservazione della neuro degenerazione. Il declino cognitivo lieve, in inglese Mild Cognitive Impairment (MCI), si riferisce a uno stato di transizione tra il normale invecchiamento e una leggera demenza e può essere diagnosticato clinicamente in presenza di alcuni sintomi che coinvolgono uno o più domini cognitivi, tra cui la difficoltà nell’area di memoria, attenzione e linguaggio (non tali da compromettere troppo le normali attività quotidiane). In diverse sperimentazioni (sia indagini di tipo conoscitivo sia tramite risonanza magnetica dell’ippocampo) è emerso che acidi grassi omega-3, curcuma, colina, uridina monofosfato, fosfolipidi, antiossidanti e vitamine del gruppo B sono capaci di rallentare in modo significativo l’atrofia ippocampale, di stabilizzare la memoria episodica, di preservare la normale funzionalità cerebrale cognitiva e di ridurre il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari. Tuttavia è fondamentale ricordare che la supplementazione di microelementi contenuti in particolari cibi deve essere integrato ma non deve prendere il posto del pasto. Secondo delle ricerche le persone che svolgono attività fisica e seguono un’alimentazione ipercalorica e ricca di grassi presentano una maggiore probabilità di contrarre l’Alzheimer rispetto a persone che seguono una dieta ricca in vitamina C, E, beta-carotene e acidi grassi omega-3. Dagli studi emerge che l’esposizione ai pesticidi (insetticidi, seguiti da fungicidi ed erbicidi) aumenta il rischio di ammalarsi di Parkinson: per la sua prevenzione e gestione si deve migliorare la qualità della vita cercando di rimuovere tutte le condizioni che possono acuire lo stato di depressione e di disturbo psichico. Esistono inoltre delle sostanze nutrizionali utili: il caffè, il tè (Egcg), i bioflavonoidi (catechine, antocianine, quercetina, acido caffeico, ecc.) e la vitamina D che risultano essere avere una maggiore efficacia neuroprotettiva. La demenza vascolare potrebbe dipendere da sette fattori di rischio legati allo stile di vita: diabete, ipertensione, obesità, inattività fisica, depressione, fumo e basso livello di istruzione.

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eleuterococco

Come tonico per contrastare debolezza e fatica. Azione ipertensivante. Proprietà antiossidanti e immunostimolanti. La Commissione E del BfArM ne consiglia
l’uso come tonico per contrastare debolezza e fatica, per aumentare la capacità di lavoro e
di concentrazione e come ricostituente durante gli stati di convalescenza. In vitro le proprietà neuroprotettive dell’eleuterococco
sono state dimostrate da tre studi riassunti sulla
monografia dell’EMA. Essi riportano un’azione di rigenerazione
neuronale e ripristino dei collegamenti
sinaptici intracellulari nelle cellule nervose danneggiate
dal beta amiloide (responsabile dell’insorgenza
della demenza di Alzheimer) mediata principalmen te dall’eleutheroside B. In vivo ha dimostrato una riduzione
dell’infiammazione e una riattivazione della
microglia nell’ischemia cerebrale dei ratti. Liu e
colleghi, nel 2012, hanno pubblicato uno studio su
un aspetto peculiare dell’azione neuroprotettiva mediata
dall’eleuterococco: ne hanno indagato la capacità
di migliorare la funzionalità dopaminica in topi
da laboratorio, ai quali era stata indotta una sindrome
Parkinsoniana artificialmente (tramite l’iniezione
di MPTP). Sono stati valutati i parametri della concentrazione
cerebrale di dopamina e del numero di recettori D1 e D2 e il tempo di arrampicata sul palo.
Dati i risultati positivi per tutti i parametri indagati,
gli autori concludono che l’estratto di Eleutherococcus
senticosus può essere utile nella neuroprotezione
anche della funzione dopaminica.
Lo stesso autore, in un articolo dedicato alle piante ad
azione anti-Parkinson, ha incluso l’eleuterococco tra
le piante potenzialmente efficaci sul Morbo di Parkinson
nei modelli sperimentali in vivo (Liu, 2012; EMA, 2013). Ritenuto
una pianta ad attività adattogena e
antistress, hanno in verità dimostrato, sperimentalmente, un’interessante attività immunostimolante con aucina mento della fagocitosi, del numero dei linfociti T e delle cellule NK, della produzione
di interferone e della risposta
anticorpale. Le proprietà immunostimolanti
sarebbero da ascrivere alla
frazione dei polisaccaridi di cui è ricca la radice della pianta, particolarmente
indicata anche come rimedio antiastenico
nel periodo della convalescenza
da influenza o altre malattie infettive. La MTC considera Ci Wu Jia un tonico per
individui affaticati e afflitti da dolenzia generale
e malessere imputabile a rallentamento
e stasi tessutale, che si manifesta
anche con dermatosi e dolori muscolari e
articolari.
Nervosismo, scarsa lucidità e sonnolenza,
senza riuscire a riposare bene, convergono
in una stanchezza debilitante, che espone
a infezioni frequenti, a loro volta logoranti.
La letteratura scientifica evidenzia che l’attività
adattogena di Eleuterococco è incentrata
in ambito immunitario e metabolico. I
suoi effetti come tonico e stimolante si addicono
ad allentare la sensazione di spossatezza
fisica, psichica e intellettiva, quando
lo stress scoordina l’organizzazione delle
difese, aumentando la recettività a infezioni
respiratorie e cutanee; aiuta inoltre a regolare
i tassi ematici di colesterolo e glucosio
e a normalizzare i valori pressori.

agaricus blazei

Come i funghi Shiitale, Maitake, Reishi ecc.,
possiede polisaccaridi che rafforzano le funzioni
immunitarie. Il fungo Agaricus blazei
murril finora ha dato risultati di particolare
efficacia in alcune patologie tumorali come
quelle polmonari, epatiche e pancreatiche,
nonché nel cancro del seno, in quello prostatico
e cerebrale. Possiede polisaccaridi a effetto
inibente la crescita tumorale e stimolanti il
sistema immunitario, due di questi con legami
proteici (peptidi polisaccaridici), Il PSP e
il PSK, studi con quest’ultimo – ottenuti dal
micelio – hanno mostrato un’azione stimolante
del sistema immunitario e un’ampia azione
antineoplastica. Questo polisaccaride agisce
direttamente sulle cellule tumorali stimolando
indirettamente l’immunità cellulare e sostenendo
di conseguenza le difese antitumorali
del corpo. Questo fungo ha una chiara funzione
antiangiogenetica e antiproliferativa. Altre
due funzioni sono: l’attività
antiallergica, attraverso
l’attivazione dei macrofagi
e la differenziazione dei
linfociti T in cellule Th1 migliorando
la bilancia Th1/Th2, e la capacità antifungina
nei confronti della Candida Albicans
aumentando la produzione del perossido di
idrogeno dei macrofagi.

mucuna

La mucuna, legume rampicante della famiglia delle Fabacee, è forse la migliore fonte naturale di L-dopa, il gold standard nel trattamento del Parkinson. Le quantità contenute
nei semi della mucuna (5% in media) e la buona biodisponibilità consentono di ottenere dosaggi terapeutici
comparabili con quelli farmacologici. L’assenza di effetti collaterali è un altro aspetto positivo riscontrato nei pochi studi clinici eseguiti su malati di Parkinson

caffè verde

Il caffè, con i suoi principi attivi, in particolare la caffeina, risulta probabilmente la più importante componente alimentare in grado di prevenire, ma anche rallentare, il Parkinson. Il meccanismo d’azione più plausibile è l’antagonismo per il sottotipo recettoriale adenosinico A2A, espresso prevalentemente nei neuroni del corpo striatopallido. Tale antagonismo è in grado di ridurre la neurotossicità dopaminergica. Altre sostanze, come la paraxantina, il più importante metabolita del caffè, ha simile attività neuroprotettrice attraverso meccanismi non dipendenti dai recettori adenosinici ma attraverso l’inbizione di Parp-1 (Poly(Adp-ribose) polymerase-1). L’azione combinata dei principi attivi presenti nel caffè si traduce anche con una riduzione della neuroinfiammazione, altra caratteristica del PD. Su modelli animali, è stato riscontrato
come l’impiego del caffè, a dosi comparabili con quelle consumate dagli uomini, sia in
grado di ridurre il danno neurologico anche a patologia conclamata, aumentando così le già interessanti sue caratteristiche protettive1. Importanti studi epidemiologici mostrano come il consumo abituale, anche non elevato, di caffè (ma non il decaffeinato), sia in grado di ridurre, in maniera statisticamente significativa, il rischio di sviluppare il Parkinson

quercetina

effetto neuro protettivo grazie all’azione antiossidante. Presente in molte verdure, riesce a passare la barriera emato-encefalica, seppur in quantità ridotte, dove sarebbe in grado di attivare la via di segnalazione Nrf2-Are (antioxidant response element) e quindi aumentare
la difesa dagli stress ossidativi. La quercetina agisce anche su un’altra via di segnalazione, aumentando quella delle parossonasi (Pons-2), presente nei tessuti cerebrali; come enzima, legandosi al CoQ10, Pon-2 riduce i livelli di Ros (in particolare del perossido di idrogeno) a livello mitocondriale e citoplasmatico

salvia

La somministrazione di estratti di Salvia può contribuire
a migliorare le funzioni cognitive. La pianta sembra migliorare
i processi mnemonici e in grado di contrastare
il deterioramento che caratterizza il morbo di Alzheimer.
Estratti ottenuti dalle foglie sarebbero in grado di bloccare
l’acetilcolinesterasi, ovviando, di conseguenza alla
carenza di acetilcolina caratteristica di questi stati. Non
meno importanti nell’espletare tali attività, secondo i ricercatori,
sono le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti
sostenute dai composti polifenolici (acido caffeico,
rosmarinico, ecc.) in grado di determinare proprietà neuroprotettrici.
Nel fitocomplesso viene segnalata, inoltre,
la presenza di due diterpeni, acido carnusico-carnosolo,
ad attività benzodiazepino-simile (elevata affinità per i
recettori GABA-ergici benzodiazepinici) e antiradicalica.
Oltre a ciò si ricordano le proprietà amaro-tonicheP
e stimolanti utili nelle forme dispeptiche e nell’atonia
gastrointestinale (meteorismo, flatulenza) ecc.
Avvertenze: l’impiego delle foglie, alle dosi usuali, risulta
sicuro.

ylang ylang


S l’aumento delle onde alfa cerebrali può
essere considerato alla base dei fenomeni fisiologici delle
capacità rilassanti dell’olio essenziale di Ylang Ylang : miglioramento in termini di rilassamento, vigilanza, prestazioni
cognitive e velocità di elaborazione.

astragalo

Il sistema immunitario è un ambito d’azione
privilegiato. La farmacopea cinese vanta
Huang Qi come rimedio tonico che sostiene
l’energia vitale, in particolare quella difensiva
(Wei Qi).
La specie è inoltre tradizionalmente consigliata
per preservare la struttura e la funzionalità
dei tessuti (ptosi e prolassi, ulcere
croniche, piaghe e ascessi) e per regolare
la distribuzione dei fluidi, agendo su drenaggio
linfatico e diuresi (ritenzione di liquidi,
edemi agli arti, spesso freddi e con
tendenza a intorpidirsi facilmente, feci fluide
e malassorbimento).
La ricerca moderna conferma l’attività
adattogena di Astragalo e ne evidenzia le
proprietà immunostimolanti e immunomodulanti:
in particolare, favorisce il riconoscimento
di virus e batteri patogeni da parte
delle cellule epiteliali dell’intestino, delle
vie respiratorie e urinarie. È quindi specifico
per sostenere l’organismo quando lo
stress altera l’efficienza delle difese (problematiche
infettive, ma anche allergiche
e autoimmuni), favorito da condizioni di
progressivo rallentamento, ristagno e intossinazione
dei tessuti.

rusco

proprietà vascoloprotettrici, venotoniche, antinfiammatorie
e antiedemigene che le sono attribuite. Numerose sono ormai
le osservazioni cliniche che mettono in evidenza tali proprietà
e che ne sottolineano l’efficacia nel trattamento dei disturbi del
microcircolo in generale, nel migliorare la sintomatologia legata
all’insufficienza venosa (gambe pesanti, parestesie, crampi, edema
ecc.) e alla crisi emorroidaria (bruciore, prurito, congestione ecc.).
Le proprietà vasculotrope sono attribuite alle saponine steroidee
(ruscogenina e neoruscogenina), le quali, attraverso un’interazione
diretta con gli adrenorecettori alfa-1 e alfa-2 posti sulle cellule
muscolari lisce delle pareti venose e attraverso il rilascio della norepinefrina
immagazzinata nelle terminazioni nervose che innervano
le vene, esercitano una efficace vasocostrizione venosa e aiutano
il ritorno venoso reso difficile dallo sfiancamento delle pareti
stesse. A questa attività si associa l’azione antinfiammatoria e antiedemigena
sostenuta dai saponosidi.

ginseng

il Ginseng come la “radice del terzo occhio”,
l’occhio della conoscenza di sé, che
corrisponde al sesto chakra per la tradizione
ayurvedica indiana. «il suo consumo durante un lungo
periodo calma il sistema nervoso, stimola la
mente, calma il nervosismo, stimola il cuore,
migliora la saggezza e aumenta la longevità
» [Campanini, 2012; Huang, 2011].
Tali proprietà sono state attribuite principalmente
ai ginsenosidi, i principi attivi
contenuti nella sua radice, che hanno dimostrato
capacità adattogene, immunostimolanti
e toniche generali. Nella Monografia
dell’Organizzazione è riconosciuto l’utilizzo
del Panax ginseng per tonificare l’organismo
delle persone affaticate e asteniche,
per ristabilire la concentrazione e per il recupero
delle energie dallo stato di convalescenza.
È la droga vegetale che presenta
più ricerche scientifiche relative al suo potere
adattogeno, difatti la rivista Planta Medica
ne pubblicò uno studio già nel 1989
dove l’azione di gestione dell’astenia venne
comprovata per una durata di 9-12 settimane. Importante
secondo gli autori calibrare il dosaggio a
seconda dello stato di salute psicofisica del
soggetto [Schmidt, 1989]. Dal punto di vista
neuroendocrino la revisione della letteratura
sulle piante con effetto psicotropo di
Jerome Sarris, professore dell’Università di
Melbourne, ne dimostra la capacità di stimolo
della corteccia surrenale con aumento
della concentrazione urinaria di corticoidi
e di modificazione della concentrazione
endogena di dopamina, norepinefrina e serotonina.
Tali interazioni ormonali e neurotrasmettitoriali,
anche secondo i ricercatori
australiani, sono alla base dell’effetto adattogeno
dimostrato anche negli studi clinici
[Sarris, 2011].
Alla fine del 2018 sul Journal of Alternative
and Complementary Medicine è stata
pubblicata una revisione della letteratura
sull’effetto del Ginseng cinese (P. ginseng)
e americano (P. quinquefolius) nella terapia
delle fatigue. La redazione è stata guidata
dal professor Arring del Dipartimento
di Medicina Integrata dell’Arizona con i colleghi
dell’Università di Portland. Il gruppo
di lavoro ha selezionato 149 studi dei quali
ne sono rimasti solo dieci con una buona
qualità. I risultati dimostrano un’efficacia
della terapia con Panax ginseng soprattutto
quando esso è prescritto a un dosaggio superiore
a 400 mg al die e per un tempo superiore
alle due settimane. Sono consigliati
metodi più rigorosi per la strutturazione di
ricerche cliniche che consentiranno di valutare
in maniera più definitiva l’efficacia
della pianta nella cura della fatigue che per
ora gli autori definiscono un “trattamento
promettente”. Gli effetti avversi sono stati
lievi e sovrapponibili al gruppo placebo
[Arring, 2018]. Ben più incisiva è l’opinione
invece della revisione della letteratura
curata dall’Università di Firenze, secondo
la quale il G115, un estratto standardizzato
e brevettato di Panax ginseng presente da decenni sul mercato, «ha confermato anche
nella clinica l’efficacia già dimostrata
negli studi preclinici in merito alla regolazione
del profilo lipidico e glucidico ematici,
sulle patologie croniche ostruttive respiratorie,
sull’aumento dell’energia e della
performance fisica e cognitiva oltre che al
sostegno immunitario». Conclude in merito
agli effetti avversi che «50 anni di presenza
sul mercato ne fanno un rimedio con una
buon profilo di sicurezza» [Bilia, 2019].
Le proprietà della pianta che il medico
deve tenere in considerazione per un ponderato
utilizzo (soprattutto in integrazione
alla terapia di sintesi) sono quelle ipoglicemizzante,
estrogeno simile e ipocolesterolemizzante,
oltre a quella tonica. I risultati
delle ricerche sono ancora contrastanti
sull’insonnia come suo effetto collaterale: la
Farmacopea Italiana ne sconsiglia la somministrazione
dopo le ore 17. Capasso, in
uno dei testi di riferimento della fitoterapia,
considera il Ginseng, se usato in modo corretto,
una pianta sicura e la Commissione
E tedesca non ne riporta controindicazioni
[Capasso, 1999].
Il Ginseng si rivela quindi una risorsa importante
per affrontare la fatigue grazie al
suo potere adattogeno che, come ricorda
Campanini, deve essere inteso come «una
migliorata capacità di adattamento neuropsicologico
alle esigenze e alle variazioni ambientali
e un conseguente miglioramento
della performance» [Campanini, 2012].

ginkgo

indicato nelle turbe vascolari della microcircolazione
periferica e in particolare nell’insufficienza
circolatoria cerebrale. Alla pianta, infatti, sono riconosciute
proprietà vasoattive, reologiche e neurali. Ginkgo biloba
è un vasoregolatore, vasodilatatore arteriolare, vasocostrittore
venoso, rinforzatore della resistenza capillare, inibitore
dell’aggregazione piastrinica ed eritrocitaria; diminuisce
l’iperpermeabilità capillare, migliora l’irrorazione tissutale,
attiva il metabolismo cellulare in particolare a livello corticale
aumentando la captazione di glucosio e ossigeno”. I
terpeni, in particolare il ginkgolide B, e i flavonoidi agirebbero
come fattori neuroprotettivi, antiossidanti, scavenger
dei radicali liberi, stabilizzatori di membrana e inibitori del
fattore attivante le piastrine (PAF), mediatore pro-flogogeno
e neurotossico, inibizione della deposizione di placche di
beta-amiloide a livello vascolare ecc.
L’estratto titolato di Ginkgo ottenuto dalle foglie è riconosciuto dalla
Commissione E della Sanità tedesca e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come rimedio utile per alleviare acufeni e vertigini
di origine vascolare. Anche se una Cochrane review (2009)
ha segnalato che vi è una limitata evidenza circa la sua efficacia
nel trattamento degli acufeni «quando questa è l’indicazione primaria», in uno studio successivo effettuato su pazienti con lieve o
moderata demenza, alcuni dei quali presentavano anche tinnito, è
stata riscontrata una piccola ma significativa riduzione dei sintomi
relativi al tinnito nei pazienti che assumevano G. biloba. La pianta,
infatti, ha dimostrato di influenzare la permeabilità vascolare e
il metabolismo neuronale e quindi «esiste un razionale per la sua
prescrizione» (Edwards S. et al., 2015).
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), European
Scientific Cooperative on Phytotherapy (ESCOP) e Commissione
E della Sanità tedesca riconoscono l’impiego dell’estratto
titolato delle foglie di Ginkgo biloba nel trattamento
adiuvante delle forme di demenza di origine vascolare o
degenerativa (demenza- malattia del Alzheimer) caratterizzate
da turbe psicocomportamentali, quali perdita della
memoria, disturbi dell’attenzione, umore depresso, ecc..
Nel 2014 EMA ha pubblicato una monografia nella quale
suggerisce come una terapia a base di Gingko biloba
“potrebbe essere usata per il
miglioramento del decadimento cognitivo (legato all’età)
e della qualità della vita nelle forme iniziali di demenza. La prescrizione di questa pianta può contribuire ad alleviare le manifestazioni depressive
nei soggetti anziani affetti da demenza o che non rispondono adeguatamente alla terapia
antidepressiva. Viene suggerito il suo impiego anche nel trattamento dei disturbi del sonno
dell’anziano che presenta depressione o tono dell’umore depresso.
Attualmente numerosi studi sostengono l’efficacia degli
estratti standardizzati di Ginkgo biloba nel trattamento dei
disordini vascolari periferici, quali claudicatio intermittens
e sindrome del Raynaud. Le preparazioni a base di Ginkgo
biloba sono utilizzate anche nelle sindromi vertiginose, nella
cefalea e nelle sequele da ictus. La pianta viene indicata
anche per il trattamento del tinnito ma i dati che emergono
dal vaglio della letteratura in questo ambito sono però
ancora contrastanti. Il Ginkgo biloba è segnalato inoltre
come medicamento ad azione venolinfatica e proctologica.
I principi attivi sono
principalmente i flavonoidi, quali quercetina
e catechina, e i terpenoidi ginkgolide e
bilobalide. Gli studi di laboratorio ne definiscono
un potere neuroprotettivo e un’interazione
con il neurotrasmettitore GABA e
con le vie colinergiche e monoaminergiche.
In particolare si è visto che l’estratto delle
sue foglie stimola il rilascio delle riserve
endogene di noradrenalina, il neurotrasmettitore
centrale nella concentrazione e
nelle competenze del cervello razionale. Lo
stimolo delle altre monoamine eccitatorie
(oltre alla noradrenalina interagisce anche
con dopamina e serotonina) si è visto essere
presente anche in situazioni di stress
nelle quali i livelli dei neurotrasmettitori
sono riportati a valori normali dopo somministrazione
di ginkgo. A livello clinico,
anche la Monografia dell’Oms ne riconosce
un effetto terapeutico nella demenza e una
qualità di sostegno delle funzioni cognitive.
Uno studio randomizzato in doppio cieco effettuato
in pazienti con disturbo d’ansia generalizzato
ha riportato un miglioramento
significativo nella scala di valutazione Hamilton
dell’ansia (HAM-A) rispetto a placebo. Alcuni studi di psichiatria
integrata hanno visto un miglioramento
dell’efficacia della terapia antipsicotica
con psicofarmaci quando associata
all’estratto di ginkgo. Una revisione della
letteratura del 2017 dedicata all’utilizzo del
ginkgo nei disturbi mentali conclude che
«i risultati tenuti in considerazione devono
essere confermati con ulteriori ricerche cliniche,
ma il ginkgo in vari studi clinici e
preclinici ha dimostrato un effetto positivo
nel miglioramento delle funzioni cognitive
e nella riduzione dell’ansia sottostante a differenti
condizioni patologiche» (OMS, Sarris 2011; Rinki, 2016; Baek, 2014; Shanti, 2013; Izzo, 2016).
La ricerca scientifica anche questa volta conferma le indicazioni delle tradizioni: secondo la medicina tradizionale cinese lo yin
xing tonifica jing e yin di rene (azione spesso utile nella depressione, astenia e ipoacusia),
tonifica il qi di cuore (insufficienza
circolatoria) e, secondo il più antico trattato della tradizione orientale, veniva utilizzato per trattare l’asma e le patologie del cervello (Sangiorgi, 2007).
Ecco già apparire millenni fa l’altro suo utilizzo terapeutico utile nella dispnea psicogena:
l’asma. Le ricerche cliniche riportano per i ginkgolidi estratti dalla pianta un’azione antiasmatica e antinfiammatoria che consente l’inibizione dell’iperreattività
bronchiale. Ciò è quanto emerge da molti studi clinici e preclinici che ne definiscono chiaramente un meccanismo d’azione funzionale
alla regolazione dell’iperreattività
bronchiale: inibizione della degranulazione mastocitaria, azione anti PAF, riduzione della
tossicità IgE mediata ecc.
È da ricordare nella prescrizione terapeutica dell’estratto di ginkgo che esso presenta
interazioni farmacologiche note di rilievo soprattutto nelle terapie anticoagulanti. (Firenzuoli, 2009; Arnold, 2008)

melissa

Commissione E del BfArM ed ESCOP ne riconoscono l’uso
per alleviare insonnia e stati di ansia e agitazione. Alcuni
studi hanno evidenziato che gli estratti di Melissa sono in
grado di influenzare l’attività recettoriale colinergica e di
conseguenza potrebbero risultare efficaci nel migliorare
i processi mnemonici e i deficit cognitivi connessi con la
malattia di Alzheimer. Capasso et al., fanno notare che “i
principali monoterpeni identificati nell’olio essenziale, ovvero
il gerianale e il nerale, sono deboli inibitori delle colinesterasi”.
La pianta sarebbe pertanto indicata nelle forme
di gravità lieve o media nel soggetto affetto da Alzheimer
in quanto la sua somministrazione ha un effetto positivo
anche sullo stato di agitazione dei pazienti. Interessante
risulta essere l’uso esterno della pianta che, sottoforma
di preparati a base di olio essenziale, mostra di possedere
azione sedativa e calmante in soggetti affetti da demenza
complicata da agitazione psicomotoria e comunque di possedere
effetti benefici in caso di insonnia. Secondo l’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS, 2004), l’inalazione
dell’olio essenziale ha dimostrato di possedere una debole
azione tranquillizzante nella cavia.

schizandra

Il sistema immunitario è un ambito d’azione
privilegiato. La farmacopea cinese vanta
Huang Qi come rimedio tonico che sostiene
l’energia vitale, in particolare quella difensiva
(Wei Qi).
La specie è inoltre tradizionalmente consigliata
per preservare la struttura e la funzionalità
dei tessuti (ptosi e prolassi, ulcere
croniche, piaghe e ascessi) e per regolare
la distribuzione dei fluidi, agendo su drenaggio
linfatico e diuresi (ritenzione di liquidi,
edemi agli arti, spesso freddi e con
tendenza a intorpidirsi facilmente, feci fluide
e malassorbimento).
La ricerca moderna conferma l’attività
adattogena di Astragalo e ne evidenzia le
proprietà immunostimolanti e immunomodulanti:
in particolare, favorisce il riconoscimento
di virus e batteri patogeni da parte
delle cellule epiteliali dell’intestino, delle vie respiratorie e urinarie. È quindi specifico
per sostenere l’organismo quando lo stress altera l’efficienza delle difese (problematiche
infettive, ma anche allergiche
e autoimmuni), favorito da condizioni di
progressivo rallentamento, ristagno e intossinazione
dei tessuti.

rosmarino

esercita
un’azione neurotonica e riequilibrante in tutti quei
casi ove occorra, per migliorare lo stato generale, regolarizzare
lo stato epatodigestivo, disintossicando l’organismo.
Sembrano migliorare significativamente, inoltre,
le performance della memoria (memoria visuo-spaziale
e memoria a breve termine). Indubbie ormai le proprietà
antiossidanti dovute in parte all’acido rosmarinico e
soprattutto ai diterpeni per i quali è stata valutata l’efficacia
su diversi modelli sperimentali. È stato pubblicato
un interessante studio che ha indagato l’impatto
olfattivo dell’olio essenziale di Rosmarinus officinalis
sulle funzioni cognitive e sull’umore di individui adulti
in buona salute. Gli autori riferiscono di aver ottenuto
nel complesso risultati migliori rispetto al gruppo controllo
e che i risultati indicano che le proprietà olfattive
dell’olio essenziale di Rosmarino possono produrre effetti
obiettivi sulle prestazioni cognitive (miglioramento
memoria visuo-spaziale e memoria a breve termine),
nonché effetti soggettivi sull’umore. Un precedente studio,
anche se piccolo, aveva già evidenziato un effetto
positivo sull’umore di soggetti adulti esposti all’olio essenziale
di Rosmarino.
Avvertenze: l’ESCOP raccomanda di riservare l’olio
essenziale all’uso esterno.

vitamina D

Nel cervello e nel sistema nervoso la vitamina D agisce
sia tramite il suo specifico recettore (VDR), membrodella famiglia degli ormoni steroidei e relativi fattori di
trascrizione, sia tramite un recettore rapido, denominato,
oltre che RR, anche MARRS (legante steroideo a risposta
rapida associato alla membrana) o Erp57/Grp58.
Mediante tali recettori, la vitamina D potrebbe modulare
positivamente malattie quali sclerosi multipla, epilessia,
Parkinson e depressione (4). Una delle cause del declino
cognitivo negli anziani potrebbe essere un’infiammazione
cronica di basso grado e l’accumulo di placche amiloidi.
La vitamina D agisce positivamente grazie alla modulazione
su importanti interleuchine (è in grado di ridurre
l’IL-1􀁇, ad azione pro-infiammatoria, e di aumentare
l’IL-10, dall’azione anti-infiammatoria) e all’aumento della
clearance delle proteine beta-amiloidi. Per quanto
riguarda la depressione, poche le reviews sistematiche o
le meta-analisi specifiche. In una delle poche meta-analisi
recenti, effettuata in Corea, i livelli di vitamina D sono risultati
inversamente proporzionali, in maniera significativa,
alla gravità della depressione in circa il 50% degli studi
esaminati. Negli oltre 12mila pazienti inclusi nella metaanalisi,
ogni aumento di 10 nmol/L di vitamina D portava
a un minore indice depressivo (6). Da diverso tempo in alcuni
centri si combatte la depressione con l’esposizione alla
luce di lampade che simulano lo spettro solare completo.
Tra i motivi dei buoni risultati potrebbe esservi il fatto
che la vitamina D viene essenzialmente prodotta a partire
dalla pelle esposta alle radiazioni solari. Grazie alla sua accertata azione sul SNC (presenza di
recettori specifici nel cervello, up-regolazione di fattori
neurotropici, stabilizzazione delle membrane mitocondriali,
azione antiossidante), si sta cercando di capire se
vi sia una correlazione tra carenza di vitamina D e Parkinson.
Secondo uno studio americano tale correlazione
esiste: 286 pazienti con Parkinson sono stati esaminati
per quanto riguarda diverse funzioni (cognitive, memoria
verbale, fluidità di linguaggio, funzioni spaziali, funzioni
esecutive, severità della malattia e depressione).
Usando modelli statistici di regressione lineare multivariata,
maggiori concentrazioni di vitamina D sono risultate
associate a migliori prestazioni globali, specialmente
nella fluidità e memoria verbale e nella depressione
(p=0,0083). Una più recente meta-analisi cinese ha
ricercato la stessa eventuale associazione tra vitamina
e malattia. Il totale dei pazienti esaminati è stato di poco
superiore a 1000, comparati con circa 4mila controlli
in buona salute. I pazienti con insufficienti livelli di
vitamina D (<75 nmol/L) hanno mostrato un maggiore
rischio di Parkinson; pazienti con deficit di vitamina D
(<50 nmol/L) hanno evidenziato un rischio raddoppiato.
La conclusione è che esista un collegamento tra livelli
di vitamina D e aumentato rischio di Parkinson. In
tutti i casi occorrono ulteriori studi per capire se la carenza
di vitamina D sia causa, concausa o effetto di malattie
del sistema nervoso.

lavanda

monografia
della Commissione E della Sanità tedesca che
segnala l’infuso preparato con fiori essiccati come un
medicamento sicuro nel trattamento delle turbe dell’umore,
dell’insonnia e dei dolori addominali funzionali
(meteorismo, ecc.). Ai fiori sono attribuite, oltre alle note
proprietà colagoghe, coleretiche ed eupeptiche atte
a facilitare i processi digestivi, interessanti proprietà
antispasmodiche e sedative. L’olio essenziale, presente
nel fitocomplesso, si caratterizza per le proprietà neurosedative
e analgesiche. Sembra, inoltre, che l’odore dei
fiori o dell’essenza favorisca l’addormentamento e una
buona qualità del sonno.
Avvertenze: Non sono segnalati effetti secondari e tossici
alle dosi terapeutiche, a meno che non vi sia una
particolare sensibilità individuale.

cacao

Gli effetti dei polifenoli del cacao
sulle funzioni
cognitive sono stati vagliati da
numerosi studi scientifici che,
utilizzando diverse modalità
di intervento (dosi, tempi, test
cognitivi e caratteristiche dei
partecipanti), hanno condotto
a risultati non omogenei
ostacolando l’interpretazione e il
confronto dei dati.
Questa recente revisione
sistematica ha valutato gli effetti
dei polifenoli del cacao sulle
performance cognitive, discutendo
anche quali aspetti metodologici
possono contribuire a conseguire
risultati più omogenei della ricerca.
È stata condotta, a tal fine, una
ricerca sulle principali banche dati
internazionali per individuare gli
studi clinici randomizzati
che hanno preso in esame l’effetto
dei polifenoli del cacao sulla
funzione cognitiva di soggetti sani
(18-50 anni).
Sulla base di 271 articoli, sono
stati selezionati 12 studi clinici
che rispondevano ai criteri di
inclusione; la qualità delle ricerche
è stata valutata con il ‘Cochrane
risk for bias tool’.
Otto ricerche riguardavano il
cacao, due il cioccolato, una le
barrette di cioccolato e un’altra
interventi misti.
I risultati suggeriscono che il
consumo dei polifenoli del cacao
esercita effetti positivi associati
a processi cognitivi come la
memoria, la motricità, le funzioni
esecutive e il QI.
Le dimensioni degli effetti degli
interventi con risultati significativi
sembrano essere maggiori dopo
il consumo di dosi intermedie di
flavanoli .
Nel complesso questo insieme di
studi suggerisce un effetto positivo
dei polifenoli del cacao sulla
memoria e sulle funzioni esecutive,
ossia le abilità che permettono a
un individuo di progettare, definire
obiettivi, attuare tali progetti,
controllare e modificare il proprio
comportamento.
Gli autori, in conclusione,
suggeriscono di realizzare ulteriori
studi per approfondire le fonti di
variazione identificate e rafforzare
le promettenti prove di efficacia
esistenti sui polifenoli del cacao.
Questa ricerca ha sintetizzato
gli effetti acuti e cronici della
somministrazione di cacao sulle
funzioni cognitive e sulla salute
cerebrale nei giovani adulti.
Nelle banche dati Web of Science e
PubMed sono stati ricercati gli studi
randomizzati e controllati condotti
sull’uomo secondo le linee guida
PRISMA circa il ruolo del cacao sulle
prestazioni cognitive di giovani adulti
(età media ≤ 25 anni). Ne sono stati
selezionati 11 che hanno coinvolto in
totale 366 soggetti.
I risultati dei singoli studi hanno
confermato che l’assunzione acuta
e cronica del cacao ha un effetto
positivo su diversi parametri cognitivi.
Dopo un consumo acuto, gli effetti
benefici sembrano associati a un
aumento del flusso sanguigno
cerebrale o dell’ossigenazione del
sangue cerebrale. Dopo l’assunzione
cronica di flavanoli del cacao, è stata
riscontrata una migliore performance
cognitiva insieme all’aumento dei
livelli di neurotrofine nei giovani adulti.
Questa revisione sistematica sostiene,
dunque, l’effetto benefico dei flavanoli
del cacao sulla funzione cognitiva e
sulla neuroplasticità, indicando che
tali benefici sono possibili nella prima
età adulta.

bacopa

L’efficacia di Brahmi sul cervello
A livello neurofarmacologico tali molecole presenti nel
fitocomplesso di Bacopa monnieri proteggono il sistema
nervoso centrale dai danni causati dallo stress
ossidativo e dal deterioramento legato all’età tramite
differenti meccanismi d’azione. Prevengono l’aggregazione
e la formazione degli ammassi neurofibrillari
caratteristici della malattia di Alzheimer e al contempo
proteggono i neuroni dalla tossicità indotta da
tali aggregati. Su animale si sono evidenziate anche le proprietà di interazione neurotrasmettitoriale agite
su serotonina, dopamina e ACH (acetilcolina) tali
da comportare il miglioramento della memoria e delle
capacità di apprendimento. Il meccanismo antiossidante
è stato indagato ampiamente in differenti ricerche
di laboratorio, che ne hanno confermato l’azione
sull’anione superossido, il radicale idrossile e l’ossido
nitrico, responsabili dello stress ossidativo che induce
neurodegenerazione nel morbo di Alzheimer.
Dagli anni Novanta il Central Drug Research of India
ha condotto molte ricerche cliniche utilizzando Bacopa
prima su volontari sani e poi su persone malate. La si ritiene
d’aiuto quando “gli squilibri della mente”
sono alimentati da una profonda ansia,
con difficoltà di respiro e attacchi d’asma,
accelerazioni del battito cardiaco, alterazioni
della motilità gastrointestinale, mal
di testa pulsanti, insonnia e altri disturbi
di origine psicogena scatenati dalla pressione
emotiva e dallo stress.
In Occidente Bacopa è considerata un adattogeno
con note sedative e un nootropo che
favorisce le prestazioni intellettive e la memoria,
ma è anche un neuroprotettivo indicato
a tutelare da evoluzioni degenerative
le cellule cerebrali. Ciò la consiglia nelle
situazioni di sovraccarico psicofisico caratterizzate
da ansia e spasmofilia, con scarsa
lucidità mentale, stanchezza intellettiva e
indebolimento cognitivo. Da quegli anni, motivati dalle scoperte sperimentali
sull’efficacia farmacologica dei suoi principi attivi
(soprattutto la Bacoside A), molti altri enti di ricerca
internazionali hanno concentrato gli studi anche s
popolazioni di differente età (dagli anziani agli adolescenti)
e in differenti contesti patologici (dalla depressione
alla demenza). Uno studio di 6 mesi sull’impiego
di un estratto standardizzato della pianta in anziani
affetti da demenza di Alzheimer ha evidenziato un miglioramento
delle capacità cognitive. Lo strumento di
valutazione è stato la Mini-Mental State Examination
Scale (MMSES) e l’efficacia è stata riscontrata in più
parametri quali orientamento nello spazio e nel tempo,
attenzione, capacità di linguaggio, lettura, scrittura
e comprensione. Sono allo studio anche gli effetti di bacopa sull’apparato
gastrointestinale e in oncologia. Nel primo caso degli
studi in vitro ne hanno dimostrato l’attività spasmolitica
sui muscoli lisci dell’intestino tramite
azione sull’attività transmembrana
del calcio, effetto che potrebbe
aprire l’indagine del suo utilizzo
in problemi intestinali come
l’intestino irritabile.
Altro effetto, in questo
caso a livello gastrico,
è quello di miglioramento
della degenerazione
ulcerosa della
mucosa, interessante se
combinato a quello psicosomatico,
ad esempio nell’integrazione
alla cura delle gastriti da
stress. In ambito oncologico, invece,
le proprietà in corso di ricerca sono quelle di protezione
dalla degenerazione tumorale nelle cellule di
fegato e dei tessuti molli. Le proprietà di sostegno alla
gestione del fibrosarcoma sono state indagate in sperimentazioni
in vivo su cavie e si suppone determinate
dalle qualità antiossidanti dei principi attivi della pianta,
come riportato in una review indiana del 2017; l’azione
epatoprotettrice utile negli epatocarcinomi, invece,
è stata esplorata in un’altra ricerca di laboratorio condotta
sulla linea cellulare dell’epatocarcinoma, verso la
quale le molecole bioattive bacoside A e B hanno dimostrato
poteri di inibizione della proliferazione delle cellule
HepG2 tramite il blocco del ciclo riproduttivo e l’induzione
apoptotica.
Uno studio condotto su anziani
sani della durata di 12 settimane ha confermato tali
risultati con l’utilizzo del medesimo estratto, includendo
anche dati confortanti riguardo alla sicurezza
della pianta. Un altro lavoro indiano su 60 studenti di
medicina ha confrontato per 12 settimane l’uso di estratto
secco standardizzato di Bacopa monnieri ,
con un placebo dimostrando la superiorità di
bacopa nei test cognitivi applicati. Alcuni risultati interessanti
si sono evidenziati anche nella valutazione clinica
dell’efficacia di Brahmi associata ad altri fitoterapici.
Assieme a zafferano, rame e vitamina B in una popolazione
di anziani ha migliorato il decadimento delle funzioni
cognitive, lo stress percepito e la depressione (testati
con il MMSES, il Percieved Stress Questionnaire e
il Self-Rating Depression Scale). Uno studio australiano
su cavia ne ha notato il potenziamento dell’efficacia
contro la demenza quando associato a Ginkgo biloba.
L’efficacia di Brahmi nella depressione e nell’ansia emerge
come dato preliminare nella conclusione della review
indiana del 2010, dove viene riportato uno studio di comparazione
di efficacia della pianta con un antidepressivo
(imipramina) su cavia. Il risultato di efficacia simile
di bacopa e imipramina è spiegato grazie al suo meccanismo
farmacologico neurotrasmettitoriale, che vede
un’interazione con la serotonina e la dopamina oltre che
con il GABA (che ha denotato, sempre in vivo, effetti ansiolitici).
Altre sperimentazioni su cavia ne sostengono
l’effetto ansiolitico confermato anche in un trial clinico
in doppio cieco con gruppo di controllo dove estratto secco di Bacopa, valutazione
effettuata con scala STAI (State-Trait Anxiety Inventory).
In Australia il gruppo di ricerca della Swinburne
University di Melbourne ha testato l’efficacia dell’estratto
riportando un miglioramento e un mantenimento delle
capacità cognitive e di memorizzazione negli adulti e
negli anziani con studi condotti in doppio cieco e con
gruppo di controllo, quindi di buona qualità. Un risultato
importante è suggerito dalla revisione della ricerca
clinica effettuata dalla medesima équipe nella popolazione
di ragazzi e adolescenti. La conclusione riporta
la sicurezza dell’utilizzo di Bacopa monnieri in questa
popolazione con miglioramento degli elementi di cognizione,
comportamento e deficit di attenzione. La bacopa, pianta nota per i suoi effetti positivi su altre funzioni cerebrali (perdita memoria, depressione, problemi vascolari), sta mostrano risultati interessanti anche su malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. Tra le azioni finora studiate, volte a ottenere un miglioramento complessivo della sintomatologia del Parkinson, ci sono: l’abbassamento dei valori di malondialdeide e idroperossidi;
la riduzione di Ros, innalzati a livello cerebrale soprattutto in soggetti esposti a pesticidi quali il paraquat;
la riduzione degli aggregati di alfa-sinucleina. La maggioranza degli studi e review di studi clinici condotti ad oggi comunque sottolinea che i risultati proposti
non possono essere considerati definitivi, in quanto
sono necessari altri studi di conferma condotti su popolazione
più ampia e con una analisi statistica di migliore
qualità. Per tale motivo la FDA a maggio 2019 ha emesso
degli avvisi ad alcune aziende statunitensi, sottolineando
che tali effetti nootropici terapeutici nella demenza
di Alzheimer non sono confermati definitivamente e
non possono essere riportati in etichetta.

scutellaria

La radice di scutellaria è ricca di flavonoidi, tra cui spicca la baicaleina, un flavone dalla spiccata azione antiossidante, in grado di ridurre i livelli di malondialdeide. Anche la wogonina, un altro flavone presente nella scutellaria ha mostrato favorevoli azioni sulla rigenerazione dei tessuti cerebrali

rhodiola rosea

efficace rimedio per il sovraffaticamento
mentale. Tradizionalmente usata
per rinvigorire le forze e la capacità di resistenza,
era inoltre nota per favorire una
lunga vita e garantire fecondità.
La scienza ha confermato che la “radice d’oro”
migliora le capacità di concentrazione
e memoria, lenisce le tendenze depressive,
allevia la stanchezza muscolare e l’affaticamento
del cuore. L’effetto ringiovanente si
esplica con un’importante azione antiossidante,
incentrata a livello cerebrale e cardiovascolare
e con l’attivazione endocrina,
che migliora la libido e favorisce la fertilità.
Rodiola è l’adattogeno per chi si sente sconfortato,
emotivamente e intellettivamente
inadeguato a stare al passo con la vita. È
un disagio che mina gli affetti e il desiderio,
amareggia il cuore, ma segna anche pesantemente
l’equilibrio e la funzionalità cardiovascolare
e cerebrale.
Numerosi e recenti lavori scientifici, hanno dimostrato
che Rhodiola rosea può incrementare i livelli di serotonina
(5-HT) e che questa può essere un aiuto concreto
nei casi di scarsa energia vitale, scoraggiamento, alcuni
disturbi dell’umore e dell’alimentazione, poichè la carenza
di 5-HT può far prediligere come atto compensatorio
l’assunzione di carboidrati ad alto indice glicemico anche
nelle ore serali.
I preparati a base di rodiola sono consigliati in caso di tinnito al
fine di diminuire la sintomatologia e migliorare l’udito. Il meccanismo
d’azione della pianta non è stato ancora chiarito, ma sembra
possa dipendere dalla proprietà serotoninergiche che le sono
attribuite. Grazie a tali proprietà, la sua prescrizione può contribuire
a ridurre l’intensità degli acufeni agendo direttamente sulla
conduzione nervosa dello stimolo uditivo, in particolare sulle
vie uditive centrali, ricche di recettori per la serotonina. La serotonina,
infatti, è coinvolta nella modulazione dei processi sensoriali
della corteccia uditiva primaria ed è possibile che in seguito
alla disfunzione del sistema serotonergico possa aumentare la
coscienza dell’acufene, riducendo di conseguenza la sua tollerabilità.
Presenta inoltre proprietà antiossidanti, antistress, immunomodulanti
e antiflogistiche. In caso di tinnito idiopatico una terapia antiossidante sembra ridurre l’intensità dell’acufene e il disagio soggettivo che ne deriva e pertanto è considerata come
una modalità terapeutica supplementare da attuare nel trattamento di tale patologia. La prescrizione di Rhodiola rosea, infine, può risultare indicata grazie anche alla documentata azione antistress della pianta.
Alla radice (salidroside, rosavidina,ecc.) sono riconosciute oltre a proprietà adattogene (rafforza il sistema immunitario e combatte lo stress) proprietà serotoninergiche oltre che dopaminergiche e quindi antidepressive. Sarebbe in grado inoltre di contrastare la “fame nervosa” e di stimolare la lipasi presente nel tessuto adiposo favorendo in questo modo la mobilizzazione degli acidi grassi. Risulta importante abbinare dopo l’assunzione della pianta una moderata attività fisica per almeno 45-60 minuti. A riposo infatti la liberazione di acidi grassi è risultata minore. Interessante l’ effetto anabolico a livello muscolare con conseguente aumento della capacità di resistenza allo sforzo fisico e con miglioramento delle prestazioni. Per queste sue caratteristiche può essere considerata un valido tonico psicostimolante. La sua prescrizione risulta pertanto indicata negli stati depressivi di moderata o lieve entità, in casa di fame nervosa, sovrappeso o tendenza al sovrappeso e come sostegno all’attività fisica.
Rhodiola rosea titolata in rosavin, pare sia in grado di
stimolare l’attività di alcune lipasi favorendo la mobilitazione
dei lipidi. Gli studi mettono in evidenza, che per
ottenere l’effetto lipolitico rosavin dipendente, sia necessario
un esercizio fisico moderato.
Il rosavin dunque sembra svolgere un utile ruolo sugli
adipociti favorendo, in 2-3 mesi, la riduzione dell’adipe
superfluo. Un’altra molecola attiva è il salidroside, che pare sia utile
contro gli attacchi di iperfagia.
La rodiola riduce un’esagerata frequenza cardiaca sotto sforzo.
Attualmente potrebbe essere considerata la pianta ad
azione adattogena di riferimento, agendo sia sull’umore,
sia sull’incremento della resistenza nei confronti dello
stress fisico e psichico.
La rodiola può essere indicata in caso di tendenza depressiva
anche nei cambi stagionali, per migliorare la memoria e l’apprendimento, favorire il recupero sportivo, dallo stress in generale e come tonico.
In Siberia veniva prescritta come afrodisiaco e i vichinghi la usavano per sostenere il vigore dei guerrieri durante le battaglie. I suoi componenti biologicamente attivi sono molti, ma gli effetti tonici e adattogeni dipendono
principalmente dal meccanismo
d’azione dei glicosidi fenolici rosavina e salidroside.
Le proprietà a loro riconosciute
da diverse review e dai testi di riferimento della fitoterapia sono: adattogena, antifatica,
neuroprotettiva, immunostimolante, antidepressiva,
ansiolitica e cardioprotettiva.
L’interazione neuroormonale descritta include
la variazione della concentrazione di
dopamina e serotonina, l’aumento dei livelli
di ATP (adenosina trifosfato) e CP (creatinfosfato)
nel tessuto muscolare striato e l’aumento
delle beta endorfine in circolo per
citarne i principali [Sarris, 2007]. A livello
clinico la rhodiola è stata studiata sulla popolazione sana in uno studio condotto su un
gruppo di studenti universitari. I risultati
hanno dimostrato un aumento della performance
mentale soprattutto con l’utilizzo di
dosaggi più elevati e per un breve periodo
di tempo. Una delle modalità estrattive più
utilizzate nelle ricerche cliniche è l’estratto
secco titolato in rosavina al 3% e salidroside
1% al dosaggio di 200-600 mg al die divisi
in due somministrazioni evitando l’assunzione
della sera. Gli studi clinici finora non
hanno evidenziato effetti collaterali di rilievo
facendo rientrare la Rhodiola rosea nelle
droghe sicure [Sarris, 2007; Panossian,
2010; Firenzuoli, 2009]. Una revisione della
letteratura sull’efficacia della rodiola nella
gestione dello stress è stata pubblicata nel 2018 su International Journal of Psychiatry
in Clinical Practice. I ricercatori rappresentanti
i Dipartimenti di Psichiatria e Psicoterapia
delle Università di Zurigo e Vienna
hanno concluso che l’utilizzo dell’estratto di
Rhodiola rosea (al dosaggio di 200 mg due
volte al die per un tempo fino a 12 settimane)
è un utile presidio di prevenzione dello
stress cronico, nella cura dei sintomi stress
correlati e nella prevenzione delle complicazioni
come il burnout e le patologie stress
correlate [Anghelescu et al., 2018].
È importante che il terapeuta tenga in considerazione
l’effetto stimolante della rodiola
sul sistema nervoso centrale, che in alcuni
casi può essere la caratteristica che
comporta la controindicazione del rimedio
nel paziente (un esempio è il soggetto affetto
da disturbo bipolare, nel quale è importante
non scatenare un’ipereccitazione nervosa).
Inoltre, sono importanti la posologia
e la durata della terapia, che devono essere
adeguate in base alle condizioni soggettive
del paziente.

cumino nero

Gli estratti di cumino nero SNS e il TC hanno, in linee cellulari e modelli
animali sperimentali, effetti protettivi contro alcune
malattie neurodegenerative (Morbo di Alzheimer,
Morbo di Parkinson ecc.). Purtroppo il numero di studi
sull’uomo è molto basso e sono pertanto necessari ulteriori
studi per confermare questi effetti (Samarghandian
et al. 2018).

calendula e luteina

Elizabeth Johnson, una studiosa dei carotenoidi presso
il Centro di Ricerca sulla Nutrizione Umana della
Tuft University, aveva pubblicato nel 2012 un articolo
nel quale esaminava i possibili effetti benefici della
luteina alimentare per la funzione cognitiva.
Lo stimolo a questa ricerca le era venuto dalla constatazione
che l’occhio è una estensione del sistema
neurale, e molti studi hanno mostrato che i deficit
cognitivi sono spesso correlati a malattie dell’occhio
di tipo senile, suggerendo la presenza di
fattori simili.
Quando si rese possibile analizzare campioni cerebrali
di 48 soggetti che avevano partecipato a uno studio
sui centenari in Georgia (Georgia Centenarian
Study), lo studio evidenziò che la luteina è il principale
carotenoide nel cervello degli anziani, nonostante
non sia il più importante nel flusso ematico, suggerendo
una captazione preferenziale; che, a
differenza di tocoferoli e beta-carotene, la luteina nel
cervello è costantemente associata (sia statisticamente
sia clinicamente) a risultati di un ampio ventaglio
di test cognitivi (funzione esecutiva, linguaggio, apprendimento,
memoria); ma soprattutto che agli effetti
sui test corrispondevano elevate concentrazioni
di luteina nelle aree cerebrali legate a tali funzioni.

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